Condividi

Frontiere

Il vecchio frate infilò con forza la chiave nella toppa e, con uno scatto nervoso del polso, ne ottenne l’immediata sottomissione. Gli innocenti cilindri metallici cedettero stupiti e doloranti a tanta violenza, unendosi silenti al mugolio di protesta che l’anziana porta, solida come l’intenzione d’un ragazzo, elevò mentre veniva scagliata contro la spessa parete della stanza. Il frate varcò la soglia maledicendo la frivolezza di quell’uscio e della sua genìa; il corpo massiccio, sempre più prostrato alla tirannia del tempo, mal s’adattava, con la sua flaccida debolezza, all’ira che scuoteva l’anima del religioso, al punto che quei suoi passi, che volevano essere ampi e decisi, si risolsero in un pericoloso ed ondeggiante claudicare. Il bastone, scuro perno di quella grottesca furia, colpì con indifferenza l’umiliato battente di legno, il quale proclamò con un altro gemito la durezza della propria condizione.

La cella era calda, scura e felicemente posta in quello stato a metà fra il disordinato e l’accogliente che l’anziano aveva sempre chiamato casa. Egli si fermò qualche istante, lasciando che tale familiarità mutasse il suo silenzio, spogliandolo dall’astioso ringhio che tratteneva. La tensione si sciolse un poco e immediatamente sentì la spossatezza che simili passioni oramai suscitavano in lui. La cosa lo infastidì, poiché percepiva chiaramente la giustizia celata nella rabbia che lo scuoteva, la ragione soggiacente ad una tale indignazione. Tuttavia non poteva fare nulla: quel focoso fluido stava già abbandonando il suo spirito; avrebbe quindi fatto meglio a muoversi, a sfruttarne quanto prima il calore per riflettere sull’accaduto.

Il frate poggiò il bastone sul bordo della scrivania e, con più prudente passo, raggiunse la sua poltrona, sotto la finestra. Vi franò sopra con un sospiro e d’istinto cercò sulla destra il romanzo che stava leggendo. Non ci mise molto tuttavia a ricordare l’episodio incriminante, tanto che anche alla sgargiante copertina toccò un’ingiusta sberla.

Il fatto era accaduto quella stessa sera, appena poche ore prima: un suo amico, nonché figlio spirituale, gli aveva regalato un vecchio film western americano, una di quelle pellicole che avevano accompagnato la sua infanzia. Dopo cena, sfruttando la consueta solitudine della sala comune, l’anziano aveva iniziato a godersi la veneranda avventura, immergendosi con animo lieto nel coraggio dei pionieri americani e nelle schiamazzanti minacce della Frontiera. Quando il piombo era iniziato a volare ed il rumore a mutarsi in chiasso, un giovane frate entrò e, annunciato da un lieto saluto, gli si sedette a fianco. Il vecchio religioso dissimulò abilmente il fatto di rammentare a malapena il suo volto e, con il miglior sorriso da nonno che riuscì a comporre, ricambiò il saluto invitandolo ad accomodarsi. Il film fu piacevole come previsto e la compagnia, inaspettata ma gradita, gli permise di riesumare alcuni di quei commenti acuti e divertenti con i quali, in gioventù, aveva deliziato i suoi compagni di proiezione.

Al termine, mentre recuperava il prezioso oggetto, si rese conto che il giovane frate, pur avendo sorriso alle sue battute ed ascoltato educatamente ogni sua osservazione, non aveva fatto alcun commento. L’anziano, particolarmente di buon umore, si accomodò su di una vicina sedia e gli chiese cosa ne pensasse del film appena concluso. Il ragazzo si fece serio e disse: «Certamente è piacevole e divertente, nonostante l’età; tuttavia è confortante che gli americani non facciano più opere simili». Il vecchio frate, interdetto, domandò ragione di quest’ultima affermazione e di rimando ricevette una concisa risposta: «La Frontiera fu una conquista ed un genocidio e gli uomini che la vissero dei criminali; è bene che non vengano più esaltati».

La generazione degli orfani

Il giovane non si rese conto degli effetti che la sue parole avevano avuto sul confratello; se l’avesse fatto, non se ne sarebbe andato con quel sorriso lieto e forse non si sarebbe neppure offerto di accompagnare l’anziano in camera. Quest’ultimo invece, dietro ad una credibile calma, celava il montare di un’ira lenta, vischiosa come il magma ed altrettanto pericolosa. I pensieri del vecchio religioso ne furono sballottati per tutto il tragitto verso la sua cella e solo ora, mitigati dalla stanchezza e dalla poltrona, il loro moto aveva iniziato a seguire rotte meno erratiche.

Il frate giunse ad una conclusione dall’aroma simile ad un inizio: l’affermazione del ragazzo era sostanzialmente vera. Pensando razionalmente alla conquista del West come episodio storico, la drammaticità dell’intero periodo era innegabile: non solo violenza, soprusi e criminalità lo caratterizzarono, ma si fondò anche sul sistematico depauperamento e sterminio delle popolazioni indigene. Innegabilmente, sotto questo punto di vista, ogni ingenua esaltazione di una simile epoca appariva non solo sbagliata ma anche pericolosa; la ragione non stava solo nell’indubbio mascheramento della verità che ciò comportava, ma anche nell’implicita approvazione che vi soggiaceva.

L’anziano si mosse nervosamente sulla poltrona; questa realtà gli era nota da tempo e lui stesso, più volte, aveva plaudito il tono certamente più maturo dei western contemporanei. Non era quindi nella storia la radice della sua ira, bensì nelle ultime parole del giovane: difatti un conto era cercare di avere uno sguardo obiettivo sulla realtà, anche sul passato, ed un altro invece era condannare senza appello intere generazioni.

Affermare infatti che quegli uomini e quelle donne, quei “padri” degli Stati Uniti, non dovevano più essere esaltati, implicava dire che nessun bene poteva essere scorto nel loro operato, se non come effetto accidentale. In alternativa, la lapidaria sentenza del giovane poteva essere letta in questo modo: qualunque buona opera avessero compiuto, spariva sotto il cumulo dei loro crimini. Il religioso non era statunitense e non aveva mai desiderato esserlo, ma non poteva che provare ripugnanza per un modo di pensare che condannasse un’intera nazione a doversi sentire orfana dei propri padri. Che sensazione terribile doveva essere contemplare il presente nella convinzione che le sue radici siano viticci marci e malati, la dolcezza del cui frutto si tinge dell’acre aroma della vergogna!

La crudeltà di questa posizione non si fermava tuttavia ad una condanna del passato, ma finiva per contaminare anche il futuro. Se infatti le fondamenta del presente, idiota muto atteso e che attende, erano da gettare come carne marcia e purulenta, allora l’avvenire non poteva fondarsi sul perfezionamento graduale di ciò che precedeva, ma solo sulla lettura dell’attualità. Questa avrebbe presto assunto i sinistri tratti della rivoluzione, di una rifondazione radicale capace di cavar fuori del bene solo da errori e buone intenzioni.

L’anziano frate aveva visto e conosciuto troppe bandiere mutarsi in cappi, troppe grida coperte da entusiastici canti per credere ancora nelle rivoluzioni. Eppure doveva ammettere che la condanna dei padri non lasciava molte alternative: o la violenza di chi rovescia ogni cosa o la maleodorante tana di chi accoglie il marciume e ne fa dimora.

Padri e carità

Lo sconforto è un triste stato, che diventa tragico quando colto nel sorriso d’un giovane. Eppure, nonostante il dolore che ciò gli procurava, l’anziano frate non poté negare a se stesso che proprio un velo di disperazione aveva scorto nelle ragionate parole del suo confratello. Ma quella rabbia che ancora covava in lui non poteva essere sorta da simili ceneri; da questi miseri resti infatti non nasce che la pena, amara madre della compassione. No, quell’ira aveva un sapore intimo, personale, che poteva provenire solo da una domanda, pericolosa nel suo silenzio: «Io sono un figlio o un padre?».

Se infatti tanto severo era nel presente il giudizio sugli avi, che pure avevano la protezione del tempo, quanto spietata doveva essere la sentenza celata dietro il cortese rispetto che i giovani gli riservavano? Impossibile è infatti sfuggire alla natura umana: ciò che si disprezza del passato, lo si odia se scorto nel presente. Improvvisamente il religioso si sentì stanco, quasi spossato da simili considerazioni; calde, rare, preziose lacrime di tristezza sgorgarono dal suo cuore, cristallizzandosi come gemme preziose attorno agli stanchi occhi. D’un tratto la sua vita, quel lungo percorso che aveva cercato di vivere nella Grazia, gli apparve riassunta dalle spietate sentenze di un’accusa che disperava ogni perdono. Tutto il bene che sapeva di aver compiuto gli sembrò simile a diamanti in mezzo al fumo: tanto preziosi quanto invisibili a chi, dall’esterno, non si sforzasse di vedere oltre l’incendio.

Possibile, si disse, che la mia vita sia considerata non diversamente da quella dei vecchi pionieri, ossia totalmente consumata in errori nudi, spogliati d’ogni misericordia? Eppure non è questa la sapienza di Cristo, non così suona lo sguardo di Dio. L’Onnipotente rifugge certo l’arida esaltazione e per questo ispirò nei santi autori parole dure verso i loro padri, verso quegli uomini sui quali si radicò ogni presente. Li mise in guardia dall’imitare le loro opere dicendo: «Non siano come i loro padri, generazione ribelle e ostinata, generazione dal cuore incostante e dallo spirito infedele a Dio»1; tuttavia lo stesso Spirito suggerì anche gratitudine verso quegli uomini e quelle donne del passato che con fatica camminarono sulle orme di Dio. Per questo il sacro autore afferma: «Così, per mezzo loro, metterò alla prova Israele, per vedere se custodiranno o no la via del Signore, camminando in essa, come la custodirono i loro padri»2. Lo sguardo del Signore non è né solo di giustizia né accecato dalla misericordia, ma capace di penetrare nell’amore la complessa realtà dell’uomo. Quegli antichi padri, che sempre rimasero croce e delizia d’Israele, vennero amati da Dio al punto da essere elogiati nel rimprovero e biasimati nel merito.

L’anziano frate si riscosse. Lo sguardo dell’Onnipotente sull’uomo gli si palesò come fondato sulla carità e non su di un bieco soppesare i cuori; a questa prospettiva, propria degli idoli e non del Dio Vivente, se ne oppone un’altra in grado di distinguere senza separare, valutare senza distogliere lo sguardo. La sua esistenza, proprio come quella di quell’antica genìa di ribelli, aveva il diritto di essere guardata da simili occhi, di essere non fatta a pezzi e passata al setaccio, bensì purificata nella sua interezza. Si rese conto improvvisamente che una generazione non più in grado di fare ciò non poteva dirsi né severa né semplicemente sciocca, bensì empia; come altro avrebbe infatti potuto definire chi aveva imparato a chiamare debolezza la carità e tradimento la verità?

Improvvisamente seppe cosa fare: senza curarsi della sicurezza dei suoi passi, il frate raggiunse il suo intrepido bastone e spalancò la porta della cella; questa cedette lieta alla sua mano, come inspirando a pieni polmoni l’aria nuova del mattino. Quando il vecchio varcò la soglia, immediatamente si sentì di nuovo evangelizzatore, predicatore, non tanto nella certezza d’essere ascoltato quanto nel fervente bisogno di rivelare una bellezza perduta e ritrovata. La sua mente era fissa sul volto del suo giovane confratello e sulla certezza che quegli occhi ancora freschi già celavano il torpore d’una carità sradicata, sola. Lui ci avrebbe pensato, lui gli avrebbe mostrato come amare il prossimo e se stesso con quella cristallina onestà che nulla teme di considerare.

Il vecchio frate si avviò, conscio che, comunque fosse andata, sarebbe ora stato degno d’essere chiamato padre.


1 Sal 78, 8.

2 Gdc 2, 22.

Non perderti nessun articolo!

Per restare sempre aggiornato sui nostri articoli, iscriviti alla nostra newsletter (la cadenza è bisettimanale).

Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it