Ho lasciato per ultima questa riflessione (per leggere la terza parte clicca qui: Lo studio come chiave) poiché richiede una “pedagogia” che solo attraverso le precedenti riflessioni poteva essere fornita: quell’assimilare e andare, quello specchiarsi continuo che interroga e fa conoscere sé stessi, quel gustare e vivere l’orizzonte che si apre in noi con meraviglia, ossia, in sintesi, gli oggetti propri delle precedenti trattazioni. A ben vedere, dunque, “nettare”, “specchio” e “chiave” sono proprio figura di quel vivere in Cristo, per Cristo e con Cristo che anima tutta la vita cristiana. Un vivere, quello così orientato, che addolcisce la vita dura del contemplativo che, nel nascondimento, abita una terra di combattimenti invisibili e “sprofonda” nel Mistero e che feconda lo slancio compassionevole dell’Apostolo, il quale, scoperta la propria identità di peccatore, corre consapevole dagli assetati di Dio.
Nel quadro tracciato si può ora parlare dello studio come lucerna. A questo proposito, più che nelle precedenti riflessioni, ritengo fondamentale rifarsi alle nostre Costituzioni ed al Catechismo della Chiesa Cattolica.
Anzitutto, vorrei ribadire un elemento che mai dovremmo stancarci di meditare, attingendo dalle Costituzioni domenicane: «Luce e fonte del nostro studio è Dio, che, avendo già parlato molte volte e in molti modi, infine parla in Cristo, attraverso il quale, nell’effusione dello Spirito, è rivelato con pienezza nella Chiesa il mistero della volontà del Padre e sono illuminate le menti di tutti gli uomini»1. Perché, in apertura della trattazione nel merito dello studio, le nostre Costituzioni pongono questa affermazione? Ciò è profondamente sapienziale; eccone la chiave interpretativa a mio avviso più esplicativa: quella del domenicano deve essere una conoscenza pratica. Più in generale, andando a monte, tutta la vita cristiana è fondata sulla conoscenza “pratica” di Dio nel Figlio, Gesù il Cristo. Ora, il Cristo, Verbo incarnato, è la rivelazione perfetta e definitiva di Dio al mondo, è il modo con cui Dio può dirsi vivente tra gli uomini ed è la via, animata da infinito amore, scelta da Dio dall’eternità per riscattare l’umanità corrotta, mediante l’Incarnazione del Figlio2 . Al contempo, è l’unico eccelso paradigma che gli uomini debbono contemplare ed imitare, immergendosi nel suo amore. È in questo saldo itinerario santificante di conformazione a Cristo3 che ci apre all’eternità beata, ossia nel divenire figli nel Figlio per opera dello Spirito Santo, che si colloca il senso del nostro studio: le Costituzioni confermano che è Cristo unica ed inestinguibile lucerna del nostro studio. Per cui, quello del domenicano, scrutatore del mistero di Cristo, non ha niente a che vedere con la sterilità e l’inutilità (cristianamente parlando) di studi puramente speculativi, ma è “pratico”, direi quasi “esperienziale”. È cioè ricco di quella sapienza ed intelligenza spirituale4 che consente di mettersi in modo autentico alla scuola e alla ricerca della Verità che illumina eminentemente i suoi passi, così da imparare «a discernere le molteplici vie del Vangelo»5. Ecco allora la “luce” del nostro studio che è Dio, in Cristo, di cui trattano le Costituzioni.
Ciò precisato, è possibile compiere un altro passo. Stando alle Costituzioni, esse affrontano e specificano l’oggetto dello studio domenicano, ma lo fanno già in chiave, per così dire, teleologica. A questo proposito, si legge: «I frati meditino e scrutino la rivelazione divina, il cui unico deposito è costituito dalla Tradizione e dalla Sacra Scrittura e, dal perenne valore pedagogico della rivelazione imparino a discernere le molteplici vie del Vangelo […] In tutto, i frati facciano proprio il pensiero proprio della Chiesa e prestino ossequio alle varie forme nelle quali si esprime il Magistero, a cui è affidata l’interpretazione autentica della parola di Dio»6. In che senso ho alluso ad una lettura “teleologica”? Si scorge già in questo passo l’orientamento dello studio che, evidentemente, consiste nella predicazione. Quale predicazione? Quella dottrinale. Allora, se questa dev’essere la natura della predicazione, non potrà che principiare da uno studio ben saldo, sempre fedele e ancorato alla dottrina della Chiesa. In tal senso, occorre rifarsi nuovamente alle Costituzioni che, in un altro passo, riportano: «Il ministero della parola è la partecipazione dell’ufficio profetico del collegio dei vescovi7; è necessario, pertanto, prima di tutto che i predicatori accolgano integralmente8 il Vangelo e cerchino di procurarsi una conoscenza viva del ministero della salvezza, così come è trasmesso e illustrato dalla Chiesa. Per questo la predicazione domenicana sia sempre contrassegnata da spirito evangelico e da solida dottrina». Dunque, lo studio già ora orientato alla predicazione dottrinale, in ogni forma in cui si possa declinare, a sua volta orientata universalmente alla salvezza delle anime, non potrà che muoversi all’interno di un quadro solido e strutturato, costituito dall’insegnamento «della Sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e del Magistero autentico, come pure l’eredità spirituale dei Padri, dei Dottori9, dei santi e delle sante della Chiesa per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvivare la fede del popolo di Dio»10 . Si badi bene: lo studio del domenicano quindi, così ben innestato nella Chiesa, non procede sulle tre vie della Sacra Scrittura, della Tradizione viva11 e pubblica12 e del Magistero, ma procede sull’unica via costituita da tre elementi che vicendevolmente si arricchiscono, in quanto simbiotici. Del resto, la trasmissione della Rivelazione avviene proprio nella mutua interazione tra i tre elementi suddetti, per cui, in breve, si potrebbe dire che veramente ognuno di essi fornisce una chiave esplicativa per gli altri due. Si consideri ad esempio il Magistero autentico della Chiesa, quale indispensabile prospettiva ermeneutica offra nell’interpretazione della Sacra Scrittura e quale insostituibile ruolo rivesta in quanto unico esponente autorevole della Tradizione viva13, con uno sguardo ecclesiale sempre attuale.
In questa sede non è possibile dilungarsi ulteriormente in quest’appassionante trattazione, tuttavia, il caldo invito è quello di riconsiderare, anzitutto e prima di altre letture, il Catechismo della Chiesa Cattolica, leggendone, studiandone e approfondendone gli innumerevoli contenuti oltre che, naturalmente, i ricchissimi documenti del Magistero, primo tra i quali splende per sinteticità e chiarezza la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione “Dei Verbum”.
Certo – anticipando una possibile pseudo-obiezione – quella espressa è una posizione tradizionale, sì, ma non tradizionalista. Tradizionale in quanto dottrinalmente innestata “in medio Ecclesiae”, dunque viva, non però tradizionalista e neppure progressista. Categorie, queste ultime, oggi più che mai abusate e sovente, appena pronunciate, manifestano appieno “l’obsolescenza” e la vacuità di terminologie ormai anacronistiche.
Ebbene, credo che principalmente all’interno di questa articolata struttura si possa parlare di studio come lucerna. Vorrei menzionare, a questo punto, un passo del discorso della montagna: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini»14 . In modo analogico, “la luce della vera fede”15 è correlata alla costante assimilazione e custodia del depositum fidei. Il domenicano, mediante il suo studio orientato è chiamato a farsi lucerna, a portare luce e far diventare luce nella predicazione, nella Chiesa, dell’unica Verità. Ma «Quid est Veritas?» (Che cos’è la verità?), segue un silenzio eloquente nel Vangelo di Giovanni, ma pare che Agostino, col suo acume, mediante un anagramma, rispondesse: «Est vir qui adest» (È l’uomo che ti sta davanti), quindi, la Verità è Cristo stesso: il silenzio del Vangelo indica la tacita evidenza. Qui, volendo, si potrebbe aprire un’ampissima trattazione, io mi limito a menzionare un passo, noto ai più, della Sacra Scrittura: «Io sono Via, Verità e Vita» e, più avanti, Gesù dice al Padre: «Consacrali nella Verità»16. Così giungo ad un ultimo aspetto da affrontare: cosa significa essere consacrati nella Verità? I profeti erano consacrati ad una missione affidatagli da Dio, infatti, come si legge chiaramente in Isaia: «Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati etc.»17. Ma non si cammina soli nella Verità, c’è la concretezza cardinale della koinonia – in tutte le sue sfumature – che ci rende apostoli, in unione con la Chiesa. Ed ecco che si giunge allo strettissimo e complementare rapporto tra Verità e carità. Anche qui, è evidente che si potrebbe aprire un’altra interessantissima riflessione, tuttavia mi limiterò a citare queste poche righe tratte dall’enciclica Caritas in Veritate del Papa emerito Benedetto XVI: «La verità va cercata, trovata ed espressa nell’«economia» della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità»18.
Eccoci così giunti al termine di queste riflessioni sullo studio nella vita domenicana, un tema che, come visto, presenta una complessità strutturale ben più ampia di quanto potrebbe apparire, ora solo accennata.
Tutti questi discorsi si potrebbero compendiare in due parole, che rappresentano il nocciolo e il “motto” della vita domenicana: Caritas Veritatis, che come si è avuto modo di notare nel corso di queste esposizioni, molto condensate, richiedono una maturazione umana integrale e presentano una profondità meravigliosa, a tratti insondabile.
1 Cit. Libro delle Costituzioni e delle Ordinazioni dei frati dell’Ordine dei Predicatori, n. 78.
2 Sarebbe qui da approfondire il tema della “carne” assunta dal Figlio, per “realizzare in essa la nostra salvezza”. L’Incarnazione, infatti, considerando anche la missione che originariamente riguardò l’Ordine domenicano, ossia la lotta contro l’eresia catara di matrice manichea, è sempre stata un Mistero di assoluto rilievo e centralità per tutto l’Ordine. A Dio piacendo, ciò potrà essere oggetto di altra riflessione, ora fuorviante.
3 A titolo esplicativo: si presti moltissima attenzione a questo punto, poiché la santificazione dell’uomo ossia l’intima partecipazione alla vita divina, non può prescindere dall’azione indispensabile della Grazia giustificante, quindi deificante, ricevuta nel Battesimo, che non schiaccia affatto la libertà dell’uomo. A questo proposito, onde evitare interpretazioni dottrinali errate, si invita vivamente a leggere il n. 2001 del Catechismo della Chiesa Cattolica (d’ora in avanti, per brevità, “CCC”), in particolare la citazione tratta dal “De Gratia et libero arbitrio” di Agostino d’Ippona.
4 Cf. Col 1,9.
5 Cit. Libro delle Costituzioni e delle Ordinazioni dei frati dell’Ordine dei Predicatori, n. 79.
6 Cit. Ibidem, nn. 79-80.
7 Cf. CCC, n. 94.
8 Cit. Ivi, n. 99. Pur richiedendo un’ampia esposizione, rilevo soltanto di sfuggita l’aspetto dell’accoglienza integrale del Vangelo che non vorrei passasse inosservato. Credo che ciò sia molto indicativo, proprio a sottolineare ulteriormente la maturazione integrale di sé che il predicatore è chiamato ad aver acquisito come condizione per l’esercizio fruttuoso del suo ufficio.
9 A questo proposito menziono un altro passo delle nostre Costituzioni: «San Tommaso si presenta quale insuperato modello e maestro. La Chiesa ne raccomanda la dottrina in modo singolare e l’Ordine la ritiene come patrimonio che esercita un fecondo influsso sulla vita intellettuale dei frati e le conferisce un proprio carattere» (Ivi, n. 82). Riguardo al rimando che si legge, in cui la Chiesa asserisce la veridicità, la piena ortodossia e la cattolicità della dottrina tomista, si invita il lettore a leggere i numerosi ed eloquenti riferimenti contenuti nell’enciclica “Aeterni Patris” di Papa Leone XIII.
10 Cit. Costituzione apostolica, Fidei Depositum, di Papa Giovanni Paolo II.
11 A questo proposito, come anche rilevato dalle nostre Costituzioni (cf. n. 81), non si può prescindere dal considerare come “le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione” (Cit. CCC, n. 78).
12 Questo rilievo, sul carattere pubblico della Tradizione, non è irrilevante: del resto, è proprio nella segretezza e nell’oralità, in un contesto elitario, che trovava fondamento l’eresia gnostica del II sec.; la sacra Tradizione della Chiesa cattolica nulla ha a che vedere con tutto ciò; essa è trasmessa e pubblicamente esposta e fondata sull’insegnamento apostolico. Sempre però da considerare in quella “triangolazione” con Magistero e Sacra Scrittura.
13 Si leggano sul punto i numeri 80-81 del CCC, che ben evidenziano come “in un certo qual modo” la sacra Tradizione e la Sacra Scrittura siano un’unica cosa, tuttavia, è pur vero che la Tradizione, alla luce del Magistero, crea l’alveo necessario in cui il testo sacro può essere letto e vissuto.
14 Mt 5, 14-16.
15 Cf. Costituzione Apostolica, Fidei Depositum, § V.
16 Cf. Gv 14,6-7; 17,17-19.
17 Cf. Is 61,1 ss. e Ger 1,5. Si noti anche il riferimento all’unzione leggibile in parallelo con Gv 14,17; 15,26; 16,13 (lo Spirito della Verità che guiderà alla Verità tutta intera), per cui il camminare nella Verità è stare su quella Via, che è Cristo, e che è Vita, guidati dallo Spirito Santo.
18 Cit. Enciclica “Caritas in Veritate”, del Papa emerito Benedetto XVI. Si legga attentamente il “sottotitolo”, in particolare il riferimento allo “sviluppo integrale”: «Ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici, e a tutti gli uomini, di buona volontà, sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità».