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In questa terza parte (per leggere la seconda clicca qui: Lo studio come specchio) cercherò di in-tendere l’articolato tema dello studio, provando a far emergere un’altra relazione, strutturante, che lo caratterizza: quella dello studio come chiave. A tal proposito, non credo si possa prescindere da un elemento: l’essenza contemplativa dell’Ordine di San Domenico1.

Come storicamente attestato, sappiamo di san Domenico che: «Era assai parco di parole e, se apriva la bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio»2, ricaviamo poi da Umberto di Romans – quinto Maestro generale dell’Ordine (1254-1263) – che il frate predicatore «quanto più è contemplativo, tanto più è adatto alla predicazione»3. Il medesimo autore scrive altrove4, enumerando le caratteristiche precipue della vita del predicatore: «Un’altra (qualità rilevante, ndr) è l’elevatezza della vita. Quando uno predica sta in alto; ma dev’essere in alto per il suo modo di vivere. ‘Ascendi sopra un alto monte, tu che porti a Sion la lieta novella’ (Is 40,9)». Poco oltre si legge: «Parimenti (i predicatori, ndr) sono detti aquile, perché come le aquile volano verso i cadaveri e cercano i morti che sono tali per il peccato. Dove si trova un cadavere, lì subito si dirige l’aquila (Gb 39,30). Il predicatore vola con premura là dove crede si trovino i peccatori affinché a coloro che giacciono nella morte del peccato venga mostrata la luce vivificante»5. Questo tema del predicatore come “dimorante” appassionato dei cieli trova il suo fondamento nell’essere radicati nell’amore di Dio e nel gustare la bellezza di questa relazione; aspetto questo che viene costantemente ripreso dal predetto autore: «Chi rimane in Dio e Dio in lui, porta molto frutto, come è detto in Gv 15, con l’allegoria della vite e dei tralci. Dunque chi vive nella carità è radicato in Dio e Dio in lui, come è detto in 1Gv 4 […] Deve esserci questa ferma volontà nei predicatori affinché portino molto frutto. Quanto è ad essi necessaria la carità, senza la quale i frutti scarseggiano, (la quale, ndr) molto vale per portare tanti frutti!»6. È vero, l’amore autentico verso Dio e disinteressato verso il prossimo sono indispensabili, ma che ne è dell’amore verso sé stessi? Intraprendere l’irto sentiero del «cognoscimento di sé in Dio»7 fa del predicatore un “uomo – sinceramente – nuovo”, è una tappa forse dolorosa ma necessaria. Del resto, è in questo “specchio” che si scopre «cresciuta una dolce amaritudine e scemata l’amaritudine»8, qui cresce il dolore della purificazione del «fuoco della divina carità» ed, al contempo, si amplifica il «bramoso desiderio con la speranza della salvezza di tutto il mondo»9. Insomma, si impara ad amare – e far amare –, in quanto si diviene gradualmente consapevoli di essere immensamente amati. Tuttavia, l’autenticità di questa presa di coscienza non è illusoria soltanto nella misura in cui si assapora la colpa (cfr. Rm 5,20) che ha lacerato il cuore dell’uomo estraniandolo da Dio e lo ferisce nell’intimo.

Il tutto è compreso nella nota espressione: «contemplari et contemplata aliis tradere»10. Trattare la dottrina della contemplazione in san Tommaso sarebbe avvincente e quanto mai interessante, tuttavia qui ci si limita ad osservare le attinenze con lo studio11. Dunque, è nel quadro della vita contemplativa che si radica lo studio. È il caso di riferirsi nuovamente a san Tommaso, secondo il quale lo studio è proprio della vita religiosa per diverse ragioni, di cui si menziona soltanto la seguente: «La vita contemplativa è ordinata principalmente alla considerazione delle realtà divine12 […] e in questa l’uomo può essere guidato dallo studio (che è coefficiente della contemplazione, in quanto illumina l’intelletto, ndr)»13. È quasi una fusione; si intra-vede qualcosa ma in modo confuso, difficile da spiegare… Studiare dunque è intrinsecamente preghiera? Riporto a questo proposito un estratto da un vecchio testo: «quando lo studio è studiosità, quando si contempla direttamente la verità divina o i divini effetti, che ci conducono alla cognizione di Dio, quando si ordinano le saeculares doctrinae alla sacra doctrina; quando ci muove allo studio <<amor rei visae>>; (Dio) e non solo l’<<amor cognitionis>>, quando ci ricordiamo, come si ricordavano i Santi14, che, il primo mezzo per giungere alla cognizione della Verità è l’<<oratio>>, per la quale “homo a Deo accipit…Invocavi et venit in me spiritus sapientiae” (Sap 7,7); allora lo studio si tramuta in preghiera»15. Il domenicano allora quando studia contempla, non smette mai di contemplare, è un fervoroso ed instancabile amante del Bello e della Bellezza, cioè di Dio e della beltà partecipata delle creature16, è poi un umile e silente esploratore di relazioni, che ama intravedere in tutto, cercando sempre con semplicità (cfr. Sap 1,2) Colui che è “tutto” in tutti17. Così in ogni cosa contempla e tutto invita a contemplare.

Concludo con un’espressione di padre Martino Stanislao Gillet, Maestro dell’Ordine dei frati predicatori (1929-1946), semplice, stupenda e puntuale, che ben compendia quanto esposto: «Se questa lenta e progressiva formazione – riferendosi agli studi istituzionali compiuti dai giovani frati – si compie in un’atmosfera di pietà e di vita regolare, in cui ogni giorno la contemplazione viene a completare l’opera dello studio e a trasformare le idee astratte in dottrina vitale, che s’impossessi di tutta l’anima, per metterla in contatto diretto con Dio, che personalmente la abita (come insegna la Sacra Scrittura), allora si può con ragione sostenere che il predicatore è fatto, l’unica cosa che gli manca è la preparazione pratica immediata, che gli rivelerà i suoi doni particolari, nell’esercizio stesso della predicazione»18. Dunque, all’esito di questa breve ed introduttiva riflessione, studio e contemplazione sono così meravigliosamente complementari… ci si perde tanta è la loro omogeneità! Che cos’è allora lo studio se non chiave per la contemplazione? E che cos’è la contemplazione se non chiave per lo studio?


1 Se qualcuno ritenesse che, in prima battuta, il domenicano sia apostolo e missionario è liberissimo di crederlo, del resto vi sono varie “scuole” a proposito. Se così fosse, tuttavia, ritengo doverosa una preliminare precisazione: non è questa la linea da me appoggiata e su cui vorrei fondare il presente scritto. La personale persuasione dell’essenza contemplativa del domenicanesimo è invece il cardine attorno a cui imbastirò questa breve ed introduttiva riflessione.

2 Libellus de Principiis O.P.: Acta canoniz. sancti Dominici; Monumenta O.P. Mist. 16, Romae 1935, pp. 30 ss., 146-147.

3 Cit. A. D’Amato, L’Ordine dei frati Predicatori – carisma-storia-attualità, ed. Roma: Istituto Storico Domenicano, 1983.

4 Traduzione dal latino da Humberto de Romanis, De vita regulari, II – Liber de eruditione praedicatorum, Roma 1888, pp. 399 ss. (De iis quae sunt necessaria praedicatori). Sono qui rinvenibili numerosi altri riferimenti circa l’elevatezza della vita che dovrebbe essere propria del frate predicatore (cfr. § VIII – De vita praedicatoris).

5 Traduzione dal latino, ivi, p. 409.

6 Traduzione dal latino da Humberto de Romanis, Expositio regulae beati Augustini, a commento di parte del prologo della medesima: «Ante omnia, fratres carissimi, diligantur Dei, deinde proximus, quia ista praecepta sunt principaliter nobis data», § IX (Quare charitas in genere magis necessaria est praedicatori).

7 Espressione mutuata dagli scritti di santa Caterina da Siena, che ben può considerarsi “via maestra” su questo tema. A tal proposito è da menzionare uno tra i passi più significativi: «Nel cognoscimento che l’anima fa di sé, cognosce meglio Dio, cognoscendo la bontá di Dio in sé; e nello specchio dolce di Dio cognosce la dignità e la indegnità sua medesima: cioè la dignità della creazione, vedendo sé essere imagine di Dio e datole per grazia e non per debito; e nello specchio della bontà di Dio, dico che cognosce l’anima la sua indignità nella quale è venuta la colpa sua», in altri termini, volgendo lo sguardo in sé l’uomo conosce Dio e specchiandosi in Dio conosce sé. Cfr. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, a cura di Giuliana Cavallini, cap. XIII, p. 34 ss. ed. Roma: Edizioni Cateriniane, 1968.

8 Ibidem. In una traduzione differente si legge: «Grazie a questo puro splendore (che l’anima vede in Dio) s’accresce il lume e la conoscenza; perciò si deve dire che mentre cresce nell’anima una dolce amarezza, insieme le viene addolcita la sofferenza». Cit. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, versione in italiano corrente a cura di Maria Adelaide Raschini, cap. 13, p. 60 ss., I ed. Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1989.

9 Ibidem.

10 Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, testo latino Edizione leonina, II-II, q. 188, a. 6, ed. Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 2014. La citazione completa è la seguente: «Sicut enim magis est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari».

11 Non pare possibile in questa sede dilungarsi nell’appassionante descrizione della contemplazione soprannaturale o infusa. Sebbene la tematica sia stata affrontata da molti ed eminenti maestri spirituali (cfr. ad esempio san Giovanni della Croce in La notte oscura), ci si limita a menzionare san Tommaso, che affronta la questione nella S. Th., II-II, q. 180 ss. Per una trattazione molto puntuale nonché rigorosa si rinvia a A. Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana, § 396 ss., p. 811, III ed. Roma: Paoline, ottobre 1960.

12 Cfr. Tommaso d’Aquino, ivi, q. 180, a. 4, p. 1604 ss.

13 Cfr. ivi, q. 188, a. 6, p. 1742 ss.

14 Proprio sul vitale rapporto tra studio e preghiera è da ricordare san Vincenzo Ferreri, con riferimento all’opuscolo De Vita spirituali, nella sezione dedicata alla “condotta che si deve tenere nello studio”.

15 Cit. Innocenzo Colosio (a cura di), Studio e vita interiore, p. 47 ss., ed. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 1960.

16 Cfr. Dionigi, I nomi divini, § 7, p. 195 ss. ed. Bologna: Edizioni Studio Domenicano: 2010 e Tommaso d’Aquino, ivi, q. 180, a. 1, p. 1600.

17 Chiaramente si indica l’immanenza e, si badi bene, al contempo la trascendenza di Dio.

18 Cit. Martino Stanislao Gillet, in Gli studi nell’Ordine dei frati Predicatori, p. 28, Roma – Curia Generalizia, 7 marzo 1932.

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