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Ogni essere umano fa esperienza della realtà che lo circonda. Talvolta ci chiediamo che differenza ci sia tra il filosofo e «l’uomo comune», visto che entrambi fanno esperienza dello stesso mondo. Non è tanto il contenuto acquisito che fa il filosofo, bensì lo sguardo assunto verso la realtà. Parliamo di uno sguardo affascinato e meravigliato, di una nuova prospettiva. Questo punto di vista è un inquadrare la realtà. Nel soggetto lo chiamiamo quadro, nell’oggetto lo chiamiamo punto di fuga. «La prospettiva è un principio sintetico a priori: è la connessione necessaria della visione oggettiva e della visione soggettiva attraverso il punto di fuga»1. E questa è l’attività principale del pensiero filosofico dove soggetto e oggetto si incontrano in un solo punto.

In questo libro Padre Giuseppe Barzaghi ci aiuta a filosofare (nel senso più autentico della parola), filosofare fondamentando (andando cioè al fondamento). Ciò ormai è diventato una stranezza nell’insegnamento delle discipline filosofiche nelle accademie e università. Perciò vi proponiamo, con i nostri migliori auguri, questo libro. Ma, in che modo ci insegna a filosofare? Come lo farebbe qualsiasi maestro di scuola riguardo alla sua materia, cioè con spiegazioni, esempi ed esercizi. Da qui il nome del libro del quale ci occupiamo: La Fuga – Esercizi di filosofia e anagogia.

Filosofia

Con un acronimo possiamo definire la filosofia come un “fissare intensamente locchio sopra ogni frammento integrandolo amorevolmente2. L’amore sorge dallo stupore proprio dell’uomo che contempla la realtà che lo circonda con la sua genuina innocenza. A questo sguardo intenso susseguono necessariamente delle domande, domande di una certa profondità.

Alcuni si fermerebbero semplicemente qui, senza andare oltre, senza preoccuparsi di trovare le risposte. Ci riferiamo a coloro che hanno fatto del filosofare una semplice ripetizione di filosofemi, un argomentare non argomentato; «Ma le domande esigono risposte, altrimenti sarebbero un atteggiamento assurdo»3.

È compito del maestro trovare il fondamento dal quale scaturiscono tali risposte; se non fosse capace di andare oltre al filosofema e arrivare alla fondazione staremmo parlando di un erudito, un professore, che sa bene a memoria certe formule e le espone anche con ordine, ma non saremmo davanti a un vero maestro. Il maestro, infatti, lo si riconosce dagli esempi che espone mentre si spiega, perché solo chi conosce il fondamento delle risposte che dà è capace di generare esempi analoghi alla realtà che viene spiegata. Chi conosce solo la superficie di tale realtà non darà mai esempi. «Il maestro è più dentro che sopra»4.

Teologia

Non esiste solo questo sguardo filosofico, tipico del sapiente che cerca la ragione primigenia delle cose, ma c’è anche uno sguardo divino, che non si dà a partire dall’uomo singolo ma a partire da Dio, che lo infonde in noi mediante la fede. Questa è paragonabile al fascino, simile alla meraviglia (che prova anche il filosofo nella contemplazione delle cose) ma rivolta verso le cose divine, alle quali si giunge non per propria capacità, ma per gratuità totale di Dio.

In questo caso il nostro maestro è Dio stesso, è lui che muove i nostri affetti stimolando il nostro giudizio naturale. Dio non fa a meno della ragione, ma con la sua grazia la eleva, la potenzia al di sopra delle sue capacità. «Dio ci trascina nel suo sguardo eterno, oltrepassando gli ostacoli del mondo umano, per un magistrale dotto divino»5.

L’intelletto umano approcciando la teologia ha come oggetto le verità proposte dalla fede, quindi ha bisogno di esse, non può farne a meno. Esso le esplicita, le collega, crea relazioni e le ordina, formando così il sapere sacro, la dottrina sacra, la teologia.

Contemplazione

Fede, sguardo, intelletto, sapere sono cose che ci evocano una attività altissima nell’uomo: la contemplazione. Essa è il massimo della densità conoscitiva. Non a caso la contemplazione si può descrivere come «commossi, osservare nel tutto esempi meravigliosi possedendone le alte ragioni eterne»6.

Possedere le ragioni eterne vuol dire conoscere le cose per le loro cause, nella loro verità ontologica; da qui abbiamo la adeguazione tra il nostro intelletto con la realtà, cioè la verità che contempliamo con meraviglia e nobile semplicità. Ecco che la nostra interiorità si collega con l’esteriorità, ma senza smettere di essere sé stessa, conservando in sé tutte le cose che ha osservato. Questo legame si dà grazie alla nostra sensibilità del mondo che ci circonda e alla nostra fantasia che riproduce i dati esperiti nella nostra mente.

La radice etimologica di fantasia ci segnala l’apparire (phaino) e per questo essa è sorgente della teoresi, un’altra parola greca composta da thea (spettacolo) più orao (guardo), in quanto è il materiale, il teatro, che il teoreta guarda per descrivere ciò che vede e comporre le più alte teorie allo scopo di mostrarne le pieghe.

Tali teorie sono prodotto del giudizio che uno compie sui concetti o idee che si sono formati a loro volta dall’immagine proposta dalla fantasia. Infatti, «le idee stanno alla fantasia come l’anima sta al corpo»7. Queste ci fanno volare, volare nell’Iperuranio platonico, luogo stabile di residenza delle idee, modelli perfetti della realtà. Per Platone questi modelli erano fuori di noi, per Aristotele sono dentro di noi.

In fondo, in questo consiste la contemplazione, in un volo, un volo simile a quello degli uccelli che creano un cerchio con il loro movimento. Un volo che è moto dell’anima. La contemplazione in quanto operazione è un moto, è l’operazione più perfetta che l’anima possa realizzare e quindi il moto generato dovrà avere la forma proporzionalmente più perfetta, cioè quella circolare.

Il moto circolare racchiude in sé una forte simbologia perché concentra le forze centripeta e centrifuga e anche l’immagine della integralità e dell’Assoluto, essenziale a questa attività dell’anima. Noi, per concentrarsi sul tutto e sull’Assoluto, abbiamo la metafisica che è la disciplina che studia la realtà che contiene tutto ed è contenuta dal tutto.

Anagogia

La metafisica in verità oltrepassa l’ente singolo per collegarlo con la totalità, l’intero. Questo era ciò che tentavano di fare i primi filosofi naturalisti greci quando nei loro ragionamenti cercavano l’archè, ossia il principio causale e reggitore di tutte le cose che a sua volta le radunava nell’essere e nell’ordine anziché nel caos.

In metafisica si parte però dal concreto, dalla esperienza comune, per poi fare questo movimento che consiste nell’oltrepassare il singolare per arrivare all’universale. Questa operazione è possibile grazie alla intelligibilità che avvolge tutto, a quel Logos che dà origine a tutte le cose e «per il quale tutte le cose furon fatte»8. Il logos è concetto, parola mentale che procede dall’intelletto. Noi arriviamo a dire che tutte le cose procedono dal logos perché tutte le cose si possono conoscere, si possono fare concetto, logos.

Quando io mi interrogo sulle cose per poterle conoscere ci sono tre passaggi: lo stupore, l’argomentare e il contemplare.

Lo stupore è proprio dei miti, che destano attrazione affettiva. Mythos, infatti, è una parola chiusa, semplicemente narrativa, che non chiarifica, evoca il tempo originario per spiegare il come delle cose, ma il come in quanto perché fattuale o quia, a differenza dell’argomentare proprio della filosofia, del logos. Essendo una parola chiusa è una parola oscura, che genera un certo fascino, perché ci vuole rimandare all’eternità, pur stando nella temporalità. È il caso delle teogonie greche che, spiegando le origini degli dèi, spiegavano il come della realtà e dell’ordine che sottostà ad essa. Il mythos mette in piedi una genealogia in ragione di una cosmogonia.

Tutta la dinamica filosofica, invece, si concentra soprattutto nel secondo livello, nel perché fondativo, dove spiega includendo le nozioni che convengono e rigorizza escludendo gli aspetti che non c’entrano. Il logos inteso come filosofia oltrepassa il mito, non lo lascia da parte, ma lo penetra producendo una parola chiarificatrice, dichiarativa. Non a caso, sia mythos che logos significano parola, ma il primo è parola oscura e il secondo parola chiara, e perciò sono complementari e nell’uomo, composto di corpo e anima, non si escludono, ma entrambi sono necessari ad esso. La fondazione che fa il logos filosofico trova le cause ultime della realtà e le spiega e definisce, per poter dare luce a quel come che aveva cercato di enunciare il mito.

Il terzo livello della contemplazione è formato da un chiaroscuro che desta meraviglia e silenzio, per la sua incontrovertibilità. È il livello mistico del Sovra-logos e diviene opportuno dal momento in cui la filosofia è diventata mito. La mitizzazione della filosofia è il problema dell’insegnamento odierno nelle cattedre universitarie e accademiche, che accennavamo all’inizio, e ciò perché hanno fatto ripiombare il logos nel mythos.

Questa impostazione prescinde dall’elemento fondazionale proprio della filosofia e si limita a enunciare filosofemi puri, prescindendo del loro valore veritativo, e quindi facendoli diventare ripetizioni di proposizioni di contenuto filosofico senza la fondazione propria della filosofia. Tali proposizioni sono diventate argomenti non argomentati e occorre una nuova disciplina che dia loro fondamento. Per trovarla, c’è bisogno di un’operazione analoga al passaggio dal mito al logos, cioè un oltrepassare che non lasci da parte, ma che penetri l’elemento precedente. Per questo che si parla di Sovra-logos.

Se il logos è una parola che dà luce e chiarifica ciò che è oscuro nel mito trovandone il fondamento, il propter quid, allora il Sovra-logos sarà una parola dichiarativa e chiarificatrice nei confronti di un logos che è diventato mito: ecco dunque l’Anagogia. «Allora l’Anagogia, rispetto a queste tesi che sono filosofiche, e cioè non sono immagini ma concetti, teorie, teoremi, si rapporta come se fossero delle immagini. La filosofia sta al mythos e l’Anagogia sta alla filosofia»9.

Conclusione anagogica

L’Anagogia in origine apparteneva al senso più alto della esegesi, ma in questo caso interessa per la sua prospettiva epistemologica che consente di evidenziarne le condizioni di possibilità metafisiche.

A partire dall’anagogia noi consideriamo il mondo e gli enti ex parte Dei trovando in Dio il fondamento ultimo di quanto esiste ed esplicitando così il contenuto implicito-virtuale del logos filosofico. Infine, alla luce della Rivelazione possiamo penetrare anagogicamente le immagini dei concetti e teoremi filosofici per poter così ricapitolarle tutte quante nel centro cosmico sovrannaturale, l’archè vera che è Cristo.

Libro consigliato: P. Giuseppe Barzaghi, O.P., La Fuga – Esercizi di filosofia e anagogia, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2020, pp. 335, € 20,00.

1 P. Giuseppe BARZAGHI, O.P., La Fuga, esercizi di filosofia e anagogia, Bologna, ESD, 2020 (2.ª ed. ampliata), p. 14.

2 Ibid., p. 23.

3 Ibid., p. 20.

4 Ibid., p. 25.

5 Ibid., p. 46.

6 Ibid., p. 67.

7 Ibid., p. 146.

8 Gv. 1:3.

9 P. Giuseppe BARZAGHI, O.P., Op. cit., p. 258.

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Sono fra Tommaso Pio Maria, nato a Valladolid (Spagna) il 6 novembre 1996. Mi sono convertito alla fede cattolica nel 2012 ascoltando le prediche di un grande gesuita spagnolo e dopo un lungo percorso di vita e di grazia sono diventato frate, facendo professione semplice nell'Ordine dei Frati Predicatori il 4 settembre 2021. Com'è successo questo? Studiando filosofia ho trovato un autore insuperabile, San Tommaso d'Aquino - del quale ho preso il nome -, e, conoscendolo in profondità, ho voluto seguire le sue orme in quest'Ordine che gli ha fatto raggiungere la santità. Il mio traguardo esistenziale? Instaurare omnia in Christo.