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«Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!”. Ed egli disse loro: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”. Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.  I presenti furono presi da stupore e dicevano: “Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?”». (Mt 8, 23-27)

Nel momento in cui assistiamo a una tempesta, a un terremoto o a una grande catastrofe naturale, il sentimento che ci coglie è lo sgomento, il timore, un certo turbamento. Anche se non ci troviamo in quella determinata situazione e quindi non c’è in gioco la nostra incolumità, paura e disorientamento ci colgono, perché stiamo assistendo a qualcosa che ci supera, stiamo assistendo a qualcosa che non è sotto il nostro controllo. Eppure, i discepoli che sono sulla barca con Gesù sono pervasi da uno stupore ancora più grande nel momento in cui il loro Signore governa e comanda queste forze della natura che sarebbero di per sé ingovernabili. Forse in maniera ancora inconsapevole, il sentimento che sorge dentro di essi è lo stupore che pervade l’uomo nel momento in cui fa una forte esperienza di Dio.

È lo sgomento che non può non inondare l’animo umano nel momento in cui l’Onnipotente si manifesta nella storia. Nella Sacra Scrittura, a partire dal celebre passo del roveto ardente (cfr. Gen 3, 1-6), per arrivare ai miracoli che Gesù compie, l’uomo vive questo stupore dettato da una forte esperienza di Dio che supera l’ordinarietà. Un santo timore che mette in luce la nostra piccolezza di fronte al grande mistero di Dio. Una consapevolezza nuova che cambia le carte in tavola e, inevitabilmente, ci mette in discussione.

Ma che cosa ne possiamo trarre per la nostra vita, dato che nessuno di noi credo abbia mai fatto un’esperienza simile a quella dei discepoli con Gesù? C’è una dimensione della Chiesa che ha proprio lo scopo di introdurci in questa esperienza di Dio, ed è la liturgia! Come ci ricorda il Concilio Vaticano II: «La liturgia è il cui culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia»1, è qualcosa che non ci appartiene, che non è totalmente sotto il nostro controllo, perché, nonostante le varie manifestazioni di creatività liturgica, più o meno riuscite, la liturgia ci viene donata dalla bimillenaria Tradizione della Chiesa.

Spesso, si pensa che la liturgia sia un’apparecchiatura di cui si usufruisce, a cui facciamo aggiunte o togliamo parti, in base alle nostre necessità o al nostro sentire, invece la liturgia è molto più simile a una pianta, a qualcosa che cresce in maniera organica e ben ordinata, che va certamente potata con amore e cura in alcune parti ma solo per permetterne un autentico sviluppo dettato dalla pianta stessa e non da come la vorremmo noi 2.

Questa coscienza liturgica ha determinato per secoli l’architettura delle chiese, la musica sacra, il canto liturgico, tutta la dimensione artistica che verte attorno alla liturgia, in modo da poter introdurre i fedeli all’esperienza di Dio, in modo da porci in quella condizione di stupore e santo timore che ebbero gli apostoli sulla barca. Eppure vediamo che non sempre è così. Si cerca, talvolta, di appiattire la liturgia ad una dimensione, a volte, eccessivamente umana e chiusa in se stessa, in cui l’aspetto della trascendenza venga tagliato fuori o passi in secondo piano. Così facendo, ahimè, non si vive più quella meraviglia che è parte integrante dell’atto liturgico, in quanto coinvolge tutta la nostra umanità, tutto il nostro essere uomini e donne che stanno alla presenza dell’Onnipotente.

Allora, ci troviamo a pregare in chiese o cappelle che difficilmente veicolano adeguatamente la fede, ci troviamo ad ascoltare musica sacra che di sacro ha ben poco, e così via. Quindi, se le condizioni esterne non ci introduco in maniera adeguata all’esperienza liturgica, che in ultima analisi deve essere esperienza di Dio, forse ci viene chiesto di lavorare maggiormente su noi stessi, sulla nostra coscienza e sulla consapevolezza di ciò che viviamo nell’atto liturgico. Lungi da me l’affermare che la nostra santità e la nostra fede si basa sulle nostra conoscenza, razionalmente intesa, ma è inevitabile che se l’esteriorità non ci è di aiuto, è necessario lavorare sulla nostra interiorità che viene comunque chiamata a partecipare, ma forse ora in maniera più autentica e consapevole.

Come ci ricorda papa Francesco: «Lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici; è la meraviglia di chi sperimenta la forza del simbolo, che non consiste nel rimandare ad un concetto astratto ma nel contenere ed esprimere nella sua concretezza ciò che significa»3. Ravviviamo allora questo santo stupore seguendo i consigli che la Chiesa ci dona, ritagliamoci dei momenti in cui dedicarci alle pie pratiche corporali e spirituali, tanto utili alla preparazione intima della Santa Messa. Mettiamoci di fronte al Signore e meditiamo il Mistero che stiamo per celebrare. Che sia esso un momento di raccoglimento, la recita del Santo Rosario, la lettura del Vangelo, l’Adorazione Eucaristica, ognuno può trovare la via più adatta a sé, quella che lo aiuti maggiormente ad entrare progressivamente nella celebrazione dei Santi Misteri, senza trovarvisi come gettato dentro all’improvviso.
In questo tempo di Avvento, interroghiamoci su come stiamo vivendo la celebrazione liturgica. Come un dovere da rispettare in maniera più o meno indifferente, pervasi dalla tiepidezza, o come una necessità vitale per la nostra anima, come autentica esperienza di Dio che richieda un’adeguata preparazione e partecipazione?

Iniziamo, dunque, un cammino di avvicinamento alla liturgia che ci permetta di sperimentare lo stupore, la meraviglia, il desiderio per la nascita del Signore che si avvicina. Uno stupore che da un lato è certamente segno della nostra piccolezza di fronte a Dio, di fronte al Mistero, segno della nostra incapacità di comprendere pienamente ciò che avviene, ma proprio per questo motivo, dall’altra parte non può che emergere la totale gratuità di questo dono d’amore che Dio ha riservato per noi. Perché, se è vero che noi da soli, con le nostre forze, non saremmo mai potuti giungere pienamente a Dio, è altrettanto vero che Dio, facendosi uomo, ce lo ha permesso, e noi, nell’azione liturgica, non facciamo altro che prendere parte alla sua opera, perché «è Dio stesso ad agire e a compiere l’essenziale»4.


1 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 10.

2 Cfr. Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, ed. San Paolo, Milano 2001, p. 161.

3 Papa Francesco, Desiderio Desideravi, 26.

4 Cfr. Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, op. cit., p. 169.

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"Contemplari et contemplata aliis tradere”, questa celebre frase del Dottore Angelico può riassumere perfettamente la mia vocazione domenicana. Sono nato il 18 luglio 1998 a Bacau (Romania). Da piccolo mi sono trasferito, insieme ai miei genitori, a Ciriè, cittadina a nord di Torino, dove, durante le scuole superiori, ho intuito per la prima volta la vocazione sacerdotale. Questo mi portò a Bologna, luogo in cui ho conseguito il baccellierato presso lo Studio Filosofico Domenicano e, soprattutto, ho avuto modo di conoscere i figli di san Domenico. Predicare per la salvezza delle anime, trasmettere agli altri l’incontro con Cristo, è ciò che mi ha spinto ad emettere la Professione Semplice il 3 settembre 2022.