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Il tempo di Pasqua che stiamo vivendo è per eccellenza il tempo della gioia; tempo in realtà delicatamente anticipato già dalla IV domenica di Quaresima, chiamata in latino Laetare, ossia domenica della letizia, della felicità.

Se il tempo forte di Quaresima ricorda un cammino nel deserto, luogo di prova, di penitenza ma anche e soprattutto di conversione e intimità con Dio, ecco che la domenica Laetare è come se fosse un’oasi, un anticipo della gioia eterna, le cui porte ci vengono nuovamente spalancate dalla vittoria di Cristo la domenica di Pasqua.

Ora, questa gioia ha tuttavia un fondamento e delle condizioni.

In primo luogo, il Fondamento di questa gioia è Colui che soltanto può donare la gioia vera, quella eterna, cioè Dio. E la gioia di Dio non risparmia il deserto, perché non è qualcosa che produciamo da noi stessi, non è una sorta di spensieratezza terrena; è la gioia che riporta i segni della croce, le cicatrici delle ferite e dei peccati: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto»,1 dice il Signore a Giosuè. La gioia divina è il perdono dei peccati, è la consolazione spirituale; sant’Ignazio di Loyola, nei suoi Esercizi spirituali, la descrive così:

«Chiamo consolazione quando nell’anima si produce qualche mozione interiore, con la quale l’anima viene a infiammarsi nell’amore del suo Creatore e Signore; e, di conseguenza quando nessuna cosa creata sulla faccia della terra può amare in sé ma solo nel Creatore di tutte. Così pure quando versa lacrime che muovono all’amore del suo Signore, ora per il dolore dei suoi peccati, ora della passione di Cristo nostro Signore, ora di altre cose direttamente ordinate al suo servizio e lode. Finalmente, chiamo consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità e ogni letizia interna che chiama e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore2».

Ora, cosa c’entra tutto questo con la nostra idea comune di consolazione, di gioia? In fondo molti pensano che prima si debba cercare (umanamente) la felicità, e poi, forse, quando va bene e solo se avanza spazio e tempo, si torna a Dio.

Ma un Salmo afferma l’esatto contrario: «Guardate a lui e sarete raggianti»,3 non dice «siate raggianti (felici) e poi guardate a Lui», il che implica che tra il Signore e la letizia si dà in un certo senso una coincidenza.

La felicità, quella vera, non è una questione di circostanze, le quali possono essere più o meno favorevoli: c’è chi si dispera nella ricchezza e chi gioisce per Cristo nella povertà più totale. Certo, si prega anche per il pane quotidiano, ma al contempo il Padre Nostro chiede anche che accada come in Cielo, così in terra, chiede anche che sia fatta la Sua volontà, non la nostra; chiede il perdono dei peccati, nostri e degli altri. San Paolo aveva raggiunto questa gioia, la radicale certezza che «se uno è in Cristo, è una nuova creatura»,4 e non poteva che supplicare chiunque di lasciarsi riconciliare con Dio5 per guadagnare questo sguardo redento sulla realtà.

La meravigliosa parabola del figliol prodigo, o del Padre misericordioso, che tutti conosciamo molto bene, e che abbiamo avuto modo di ascoltare anche nell’ultima Quaresima, contiene e realizza tutti questi elementi. Essa ci dice che cos’è la vera gioia (e la vera libertà): stare con il Padre, che ci dà già qui ed ora tutta la nostra eredità, tutti i mezzi per la vera felicità; ci dice cos’è il peccato: andarsene dalla casa del Padre, sperperare tutto ciò che si è ricevuto, la Grazia, i doni della nostra natura; ci dice cos’è la conversione: accorgersi di aver rinunciato alla libertà di figlio per servire uno che pascolava i porci, e quindi chiedere perdono dapprima nel proprio cuore, e poi ritornare a casa e chiedere esteriormente il perdono al proprio Padre. Nessun rigorismo, nessun moralismo, nessun lassismo: soltanto un Padre, con due figli e una storia di dramma e salvezza, il che è quello che quotidianamente viviamo tutti noi, nella Chiesa e nel mondo.

Due appunti finali, utili per ben inquadrare la gioia che nasce dall’incontro rinnovato con Dio, che la Chiesa ci chiama a vivere in modo del tutto speciale in questo tempo di Pasqua.

In primo luogo, ricordiamo che Dio perdona il peccatore, non lo giustifica; e la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, ha sempre seguito fedelmente il divino mandato del suo Fondatore, testimoniando universalmente una Salvezza che si offre a chiunque la chieda. La Giustizia di Dio è Misericordia, e la Misericordia di Dio è Giustizia, anche se, come disse Papa Francesco qualche anno fa, «Gesù non si stanca di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono».6 Effettivamente dovremmo ricordare che il Padre misericordioso ha accolto il figlio quando è ritornato, non ha continuato a mantenerlo nella terra dove era fuggito, a giustificarlo nel suo male: per salvare il peccatore non bisogna abolire il peccato. Risuona sempre attuale il noto avvertimento di padre Garrigou-Lagrange:

«La Chiesa è intransigente sui principi, perché crede, e tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano. La Chiesa assolve i peccatori, i nemici della Chiesa assolvono i peccati [tr. nostra]7».

In secondo luogo, se Dio ha perdonato, anche noi dobbiamo fare lo stesso, evitando l’invidia (come il fratello maggiore della parabola), o il buonismo, ma solo per amore di Cristo, sola Verità che può renderci capaci di un tale atto divino-umano. Certamente i segni dei nostri peccati rimangono, sono ferite che a volte rimangono per tutta la vita. Ma dopo la conversione e il pentimento l’anima è salva, le porte della vita eterna, che è la vera Vita, sono state riaperte. E l’umile via per tornare a Dio ci è stata insegnata sin da bambini: il buon e caro sacramento della Penitenza. Chesterton ha scritto una pagina meravigliosa in merito:

«Quando la gente chiede a me, o a qualsiasi altro: “Perché vi siete unito alla Chiesa di Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi dai miei peccati”. Poiché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. […] Orbene, quando un cattolico ritorna dalla confessione entra veramente, per definizione, nell’alba del suo stesso inizio, e guarda con occhi nuovi attraverso il mondo, ad un Crystal Palace che è veramente di cristallo. Egli sa che in quell’angolo oscuro, e in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. È un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta, come dissi, nella luce bianca dell’inizio, pieno di dignità, della vita di un uomo. Le accumulazioni di tempo non possono più spaventare. Può essere grigio e gottoso, ma è vecchio soltanto di cinque minuti8».

L’oasi della quarta domenica di Quaresima, e ancor più i cinquanta giorni del tempo pasquale che raccorda la domenica di Pasqua alla solennità di Pentecoste, ci ricordano la semplicità del cammino cristiano.

Non facilità, semplicità ho detto. Perché l’avventura cristiana chiama in causa tutta la nostra esistenza, è un cammino totalizzante. Eppure è un cammino semplice, appunto, perché la Meta è chiara, e i mezzi pure. E le pause di vera letizia, di vera consolazione spirituale che accadono in questa nostra vita uggiosa ce lo ricordano, ce lo mostrano sotto la luce diradante del vero Sole di Giustizia. Proviamo a fare nostre le parole di Lewis: «Io credo nel Cristianesimo allo stesso modo in cui credo che il sole sia sorto: non solo perché io lo vedo, ma perché attraverso di esso io posso vedere tutte le altre cose9». E allora, come questo nuovo bambino di soli cinque minuti d’età, come questo bambino che guardando il Sole impara a guardare tutto attraverso il Sole, proviamo a ritornare sulla via di Casa o, se ci siamo già, a rimanerci…

1 Gs 5,9

2 Ignazio di Loyola (s.), Esercizi Spirituali, § 316.

3 Sal 34(33),6.

4 2Cor 5,17.

5 Cf. 2Cor 5,20.

6 Francesco, Udienza generale, 21 marzo 2018.

7 «L’Église est intransigeante sur les principes, parce qu’elle croit, et tolérante dans la pratique, parce qu’elle aime. Les ennemis de l’Église sont au contraire tolérants sur les principes, parce qu’ils ne croient pas, mais intransigeants dans la pratique, parce qu’ils n’aiment pas. L’Église absout les pécheurs, les ennemis de l’Église absolvent les péchés», R. Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence et sa nature. Solution Thomiste des antinomies agnostiques, Paris, 195011, p. 725 (in realtà lo stesso domenicano riporta questa frase virgolettata, probabilmente perché risuonava sentenza comune nella sua epoca).

8 G.K. Chesterton, Autobiografia, Lindau, Torino 2017, pp. 321-322.

9 C.S. Lewis, «La Teologia è Poesia?», in Id., Le lettere di Berlicche e il brindisi di Berlicche. Corrispondenza immaginaria e altri scritti, Jaca Book, Milano 20075, 178.

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Chi sono io? Se è vero che gli altri possono talvolta descriverci meglio di come ci definiremmo noi, vi lascio una definizione sintetica di un amico ed ex collega: "tu sei un fruitore di bellezza"... Che significa? Semplice. In tutto quello che ho vissuto finora, dallo studio maldestro della teologia alle immeritate Grazie nel lavoro come professore, dal calore della mia famiglia fino al colore delle tante amicizie, una cosa sola mi è sempre stata chiara: tutta questa Bellezza mi chiama da sempre, e ho scoperto che è solo andando più in fondo - non da solo, ecco perché c'è la Chiesa - che posso trovarla e sempre goderne, per poi annunciarLa agli altri, perché sappiate che «La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini» (G. K. Chesterton). Ecco perché mi son fatto domenicano... Per contattare l'autore: fr.piergiorgio@osservatoredomenicano.it