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Nel nostro convento di Bologna, da due anni vive con noi un frate pakistano, fr. Naveed, giunto qui per frequentare i corsi di specializzazione in teologia. Lo abbiamo intervistato per far conoscere la sua esperienza di religioso in una regione del mondo in cui gli equilibri politici sono precari e all’interno di un Paese nel quale i cristiani costituiscono una piccola minoranza.

Quanti cristiani vivono in Pakistan e, in particolare, nella tua regione?

Il Pakistan ha una popolazione di 226 milioni di abitanti, di cui il 90% è musulmano. I cristiani sono circa l’1,6% e vivono per la maggior parte nella regione del Punjab, nella parte orientale del Paese, dove si trova il nostro convento.

Che cosa ti ha spinto ad entrare nell’ordine domenicano?

Ebbene, tutto è iniziato con un innocente desiderio di essere come il mio eroe spirituale, fra Amato Aldino, un missionario domenicano italiano di Molfetta, in Puglia. Da bambino, l’ho visto servire attivamente nella parrocchia in favore dell’educazione e della salute della gente. Aveva una vocazione speciale per l’educazione degli studenti ciechi ed era molto attivo con un gruppo giovanile, un coro e nelle Conferenze di San Vincenzo de Paoli. Prima di entrare nell’Ordine domenicano, tutta la mia formazione e la mia educazione si sono svolte sotto la sua guida spirituale. Servivo come chierichetto e partecipavo al gruppo giovanile domenicano nella nostra parrocchia. Ogni giorno lo vedevo sedersi per la confessione e recitare il rosario.

Un altro sant’uomo che ha influito sulla mia scelta di vita è stato fra Augustine Rodrigues, originario di Goa. Era un frate molto appassionato ed entusiasta per la predicazione del Vangelo tra i poveri. Era un predicatore itinerante, un domenicano molto sincero e audace. Era sempre pronto ad aiutare i poveri e i bisognosi. Ha rafforzato il mio desiderio di diventare domenicano.

Infine, uno dei miei insegnanti, Sir Munir, un cieco, mi ha aiutato a discernere la mia vocazione religiosa e domenicana. In tutto questo percorso, la mia famiglia mi ha incoraggiato e sostenuto ad andare avanti, con le sue preghiere e il sostegno morale. In breve, era lo zelo del servizio del popolo e la predicazione del vangelo come domenicano. È così che nel 2000 sono entrato in convento e fino ad oggi sono felice della mia vocazione domenicana.

Quali sono le differenze che ti hanno colpito di più tra la Chiesa pakistana e quella italiana?

In Italia la Chiesa esiste fin dai primi secoli, dal tempo dei santi Pietro e Paolo e ha una storia molto più lunga. Da un lato, sono felice di vedere le chiese, enormi e bellissime, con grandi opere d’arte, ma dall’altro provo tristezza nel vederle vuote o trasformate in musei o uffici governativi. I fedeli stanno invecchiando, sembra che la Chiesa stia morendo lentamente e gradualmente. Sembra che la maggioranza dei giovani sia lontana da Dio e dalla Chiesa. Alcuni sono cristiani di nome e pochissimi fedeli sono cristiani praticanti.

Tuttavia, coloro che vengono in Chiesa, sembrano essere molto devoti e forti nella fede. La Chiesa in Italia soffre di mancanza di fede e di vita familiare. Come dice S. Giovanni Paolo II, «La famiglia è la Chiesa domestica»1. Penso che oggi la Chiesa in Italia soffra per la mancanza della vita familiare. I giovani non si sposano e lentamente e gradualmente la vita familiare sta svanendo. Inoltre, la società italiana soffre di problemi morali come aborto, scandali sessuali, unioni civili gay e molti altri. Tutte queste cose stanno attaccando la Chiesa dall’interno e dall’esterno.

D’altra parte, il Pakistan è un paese musulmano e un’entità missionaria. La Chiesa in Pakistan è una Chiesa molto giovane e missionaria. Infatti, nonostante risalga all’epoca dell’apostolo Tommaso, nell’antica città di Taxila, in Pakistan ma non è stata istituita adeguatamente. Quindi i missionari sono venuti in questa terra dal XVI secolo in poi, ma la Chiesa ha iniziato a stabilirsi effettivamente nel XIX secolo, con l’arrivo di diversi missionari, come i francescani e successivamente nel XX secolo, prima e dopo il concilio Vaticano II, quando giunsero i missionari domenicani italiani e americani. Quindi, il volto della Chiesa in Pakistan è molto giovane. Il seme della fede che i missionari hanno seminato nel suolo del Pakistan, ora è cresciuto e ha prodotto frutti in abbondanza.

La cosa più importante è che la Chiesa in Pakistan è Chiesa perseguitata. Come diceva Tertulliano, «il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani», dunque la Chiesa è salda nella fede e fervente nell’annuncio del Vangelo. Le persone sono semplici, ma piene di fede e devozione. Le chiese sono piene di gente e i fedeli crescono di numero. Vediamo un numero enorme di giovani e ragazzi impegnati in ​​diverse attività nella Chiesa.

La vita familiare in Pakistan è molto forte. La Chiesa riceve tante vocazioni giovani dalle famiglie. Grazie a Dio, i conventi e i seminari religiosi sono pieni di vocazioni religiose. Tuttavia, l’amara realtà è che la Chiesa in Pakistan soffre anche a causa di questioni morali, come la corruzione e gli scandali sessuali e a causa di questioni religiose, come i rapporti con l’Islam e la divisione tra cattolici e protestanti.

Che cos’è cambiato per i cristiani, in Pakistan, dopo l’omicidio di Shahbaz Bhatti?

Clement Shahbaz Bhatti, era il ministro federale per gli affari delle minoranze in Pakistan. Proveniva da Khushpur, un piccolo villaggio del Punjab. Khushpur è chiamata la Roma del Pakistan perché molti sacerdoti, religiosi e religiose vengono da là. Bhatti era un vero cristiano cattolico. Alzò la voce a favore di Asia Bibi, dicendo che la legge sulla blasfemia è ingiusta e chiedendo al governo di cancellarla dalla costituzione. I musulmani fanatici si sono sollevati contro la sua richiesta, poiché considerano questa legge come una protezione per la religione islamica. Il 2 marzo 2011, è stato assassinato ad Islamabad. È morto combattendo contro la legge nera sulla blasfemia.

Finora nulla è cambiato dopo la sua uccisione brutale. La minoranza cristiana alla domenica prega sotto la protezione delle forze dell’ordine. Negli ultimi anni, molte chiese sono state attaccate, diversi istituti cristiani sono stati bruciati e saccheggiati e alcune persone innocenti sono state uccise in nome della religione islamica. L’anniversario di morte di Shahbaz Bhatti è celebrato in tutto il paese con devozione e riverenza e molte persone vengono a rendere omaggio al coraggioso martire del Paese. Finora non è ufficialmente riconosciuto come martire, ma il suo sacrificio è degno di nota nei libri di storia.

Siete preoccupati per la condizione delle minoranze religiose nel vostro Paese, dopo che i talebani hanno riconquistato l’Afghanistan?

Prima di rispondere alla domanda, vorrei chiarire che esistono due gruppi di talebani, vale a dire i Tehrik-e-Taliban del Pakistan e i talebani dell’Afghanistan. Dopo l’11 settembre 2001, il Pakistan si è posizionato come alleato degli Stati Uniti nella cosiddetta “guerra al terrore”. Ma allo stesso tempo, alcuni settori dell’esercito e dell’intelligence hanno mantenuto legami con gruppi islamici in Afghanistan.

Tuttavia, i talebani pakistani si sono costituiti come gruppo jihadista nel 2007, per reazione verso Washington, che chiedeva che Islamabad reprimesse gli estremisti pakistani. Dal 2009 in poi, la caccia dell’esercito pakistano al Therik-e-Taliban Pakistan ha portato i suoi membri a cercare rifugio in Afghanistan, ma anche da noi hanno iniziato ad attaccare diversi istituti, come le scuole femminili; l’incidente più noto è stato quello di Malala Zai, un attacco alla scuola militare di Peshawar. Ora, la minaccia più diretta al Pakistan da parte dei talebani è il Therik-e-Taliban. Dal momento che in Afghanistan governano i talebani, torneranno ad essere potenti e cercheranno di instaurare le leggi islamiche e di creare un clima religioso difficile per le minoranze religiose, al fine di stabilire la Sharia. Tuttavia, non solo le minoranze religiose, ma tutta la popolazione soffre a causa delle attività terroristiche.

Generalmente i rapporti sono buoni tra i frati e i musulmani? Voi avete degli amici musulmani o sikh?

Direi che, in generale, i rapporti tra frati e musulmani sono buoni. Personalmente, dalla scuola elementare al liceo ho studiato con i musulmani nella nostra scuola cristiana, ma quando sono entrato nella vita domenicana non ho potuto mantenere il mio rapporto con loro.

Vorrei ricordare che tre dei nostri frati, fra James Channan, fra Pascal Paulus e fra Taufique Dominic, hanno studiato nell’Islam. Due di loro sono impegnati nel dialogo interreligioso, presso l’istituto domenicano di Lahore “Peace Centre”. Questi rapporti si svolgono coi rappresentanti religiosi non cristiani, tenendo presente che il ghiaccio si scioglie dall’alto. Infatti, si è sviluppata una relazione sana ad un livello superiore, ma c’è ancora molto bisogno di lavorare a livello di base. Tuttavia, da entrambe le parti, la gente va e viene per celebrare le rispettive feste religiose e condividere anche le sofferenze.


1 Giovanni Paolo II, Incontro mondiale con le famiglie, 8 ottobre 1994.

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Fra Paolo Peruzzi, nato a Verona nel 1990, diplomatosi al liceo classico, nel settembre 2016 ha emesso la professione semplice nell'Ordine dei frati predicatori. Attualmente studia Teologia, dopo aver ottenuto il baccellierato in Filosofia presso lo Studio filosofico domenicano di Bologna. Per contattare l'autore: fr.paolo@osservatoredomenicano.it