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Cari amici, eccoci arrivati a questo quarto incontro sul Vangelo secondo Marco. Per chi di voi ne avesse piacere o curiosità, ecco un comodo link per recuperare l’articolo precedente.

Questo capitolo del secondo Vangelo è quasi totalmente incentrato su parabole, tutte di argomento agricolo. Conosciamo molto bene la parabola del seminatore, del granello di senape, al punto che quando si sentono proclamare in Chiesa quasi ci distraiamo, tanto ci risultano note. Ma sapete, la domanda che in realtà ci facciamo è una sola: perché Signore ci parli in parabole? La risposta data ai Dodici è piuttosto netta: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato (Is 6,9-10)»1. Sembra quasi che Cristo intenda così escludere di proposito la maggior parte dei suoi ascoltatori. In realtà, se ricordiamo quanto detto a proposito dell’imperdonabile bestemmia contro lo Spirito Santo, è l’ascoltatore che si esclude dalla comprensione del Regno di Dio. La nostra volontà, la nostra fede, la nostra libertà incidono sulla nostra comprensione di Dio e questo spiega come anche una mente estremamente brillante possa essere chiusa alla trascendenza. San Tommaso l’aveva capito alla perfezione e per questo disse che «prima della venuta di Cristo nessun sapiente, nonostante tutti i suoi sforzi, riuscì mai a conoscere quel tanto di Dio e delle cose necessarie per il conseguimento della vita eterna, che invece dopo la venuta di Cristo conosce per fede una vecchierella»2.

Perché le parabole allora? Il racconto, credo, è forse la forma più delicata per parlare di cose immensamente più grandi di noi. Del resto ci serviamo di racconti, di analogie, di simboli in continuazione, semplicemente perché così funziona lo spirito umano, che ha sempre bisogno di un orizzonte per congiungere la terra e il Cielo. Gesù rovescia la sapienza di questo mondo spiegando l’Eterno con un granello di senape, la vertiginosa azione della Grazia mediante un flebile stelo che cresce timido dalla terra, il fiorire del Regno di Dio come lo spuntare di una pianticella che nemmeno tutti gli sforzi dell’agricoltore riescono a cogliere (a coltivare) appieno. Le parabole non sono un enigma, un rompicapo, non si tratta di un problema di intelligenza; le parabole sono una sfida, una proposta, e quindi in definitiva sono un problema di libertà. Sapete, la nostra libertà, la nostra volontà, incide terribilmente sulla nostra conoscenza della realtà. Ecco perché, lo ripeteremo fino alla noia, i problemi – i rovi, i sassi – non stanno là fuori; san Giovanni Crisostomo ci ricorda che Cristo, nello spiegare la sua parabola, «non ha detto: il mondo, ma: la preoccupazione del mondo, né: la ricchezza, ma: l’inganno della ricchezza. Non accusiamo quindi le cose, ma la volontà corrotta»3.

Questo spiega anche l’elezione degli Apostoli: perché a loro spiega tutto e a noi no? Se leggiamo il Vangelo come uno gnostico, allora verrebbe da dire che Gesù rivela oscuri segreti soltanto a pochi prescelti iniziati alla sua Via; ma sappiamo bene che non è così, perché il Regno di Dio è sì misterioso, ma nello straordinario senso per cui un’umile ragazza di Nazareth diventa quella Regina degli Angeli in grado di schiacciare la testa alla più potente e feroce delle creature. Ai Dodici venivano spiegate le parabole semplicemente perché stavano con Lui. Ciò dovrebbe forse sorprenderci? Accorgerci che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, e da sempre, la Chiave per accedere al Mistero non dovrebbe causarci soltanto meraviglia, ma commozione, pentimento e infine una scelta radicale: seguirLo. Imboccare questa meravigliosa avventura dietro a Cristo è l’unica garanzia per conoscere nel modo migliore il mondo, per giudicare con sano realismo ciò che ci accade; è, in fondo l’unica possibilità per poter fare davvero ciò che vogliamo con vera libertà: «Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene»4. Quale grave dramma viviamo nella nostra epoca! Abbiamo frainteso questo famoso passo di sant’Agostino, ci siamo illusi che esistesse un amore fuori di Dio, una libertà fuori dalla Verità, una felicità fuori dal Bene. Cari miei, le ideologie del mondo vengono smascherate di continuo, basta essere figli del nostro tempo! Basta confidare negli affetti umani e passeggeri, alziamo lo sguardo confidando nell’unico «amor che move il sole e l’altre stelle»5!


1 Mc 4, 11-12.

2 San Tommaso d’Aquino , Opuscoli spirituali, ESD, Bologna 1999, pp. 35-36.

3 San Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 44, 4.

4 Sant’Agostino d’Ippona, Commento alla Lettera di san Giovanni, Omelia 7, p. 8.

5 Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 145.

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Chi sono io? Se è vero che gli altri possono talvolta descriverci meglio di come ci definiremmo noi, vi lascio una definizione sintetica di un amico ed ex collega: "tu sei un fruitore di bellezza"... Che significa? Semplice. In tutto quello che ho vissuto finora, dallo studio maldestro della teologia alle immeritate Grazie nel lavoro come professore, dal calore della mia famiglia fino al colore delle tante amicizie, una cosa sola mi è sempre stata chiara: tutta questa Bellezza mi chiama da sempre, e ho scoperto che è solo andando più in fondo - non da solo, ecco perché c'è la Chiesa - che posso trovarla e sempre goderne, per poi annunciarLa agli altri, perché sappiate che «La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini» (G. K. Chesterton). Ecco perché mi son fatto domenicano... Per contattare l'autore: fr.piergiorgio@osservatoredomenicano.it