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Padre Albano Simini è nato a Trieste il 16 giugno del 1931; è uno dei padri più anziani della nostra Provincia domenicana del nord d’Italia. Ha 91 anni e si avvicina ormai ai 92. Appassionato di lettere, di musica (pianista) e dei grandi autori mistici di lingua tedesca come Meister Eckhart. Conosce molto bene la lingua tedesca, tratto che poi ha segnato il suo itinerario religioso nonché il suo ministero sacerdotale nell’Ordine. Ha emesso la sua prima professione religiosa il 4 novembre 1950 ed è stato ordinato sacerdote il 25 luglio 1956 proprio nella nostra basilica patriarcale di San Domenico in Bologna. Terminati gli studi è stato assegnato al convento di Bolzano, grazie anche alla sua conoscenza del tedesco, dove ha trascorso quasi sessant’anni di servizio, per la maggior parte dediti alla cura pastorale della comunità di lingua tedesca. Ora, dopo tanto tempo, è ritornato a Bologna: una presenza discreta e importante. Vi presentiamo questo colloquio avuto con p. Albano: parole profonde, cariche di esperienza, saggezza e verità.

Ci parli un po’ della sua scelta della vita consacrata? E cosa consiglierebbe ad un/una giovane che è in ricerca, che vive forse nell’inquietudine e nell’incertezza?

La vita consacrata?
Certamente non è facile dare una risposta a questa domanda; ci sono vari elementi che possono spingere una persona a fare una scelta come questa. Posso dire che nel mio caso c’è stato dentro di me un desiderio di una vita cristiana in profondità. Dunque cercavo una via con dei mezzi privilegiati per poter raggiungere questo scopo e quindi la vita religiosa; Io ho sentito un po’ questo.
Diciamo che ho avvertito non semplicemente un bisogno di un mero approfondimento, ma di una intensificazione con dei mezzi adeguati che mi facessero giungere all’appagamento di questo desiderio.

Allora padre Albano: cosa consiglierebbe ad un giovane?

Intanto che sia molto sincero con se stesso: molto sincero! Che non si illuda, che non cada in illusioni, che guardi bene dentro se stesso, per quanto è possibile naturalmente, ma che non si lasci trascinare magari da una ventata di entusiasmo che, intendiamoci, può essere anche buono…! Ma può essere solo -appunto-, una ventata, che prima o poi cessa.
Quindi mi pare sia importante questo: guardare bene dentro sé stesso, senza timore e senza paura di trovare dei mostri, perché dentro di noi ci sono dei mostri che bisogna imparare a riconoscere e guardare. È importante poi che si faccia aiutare; è utile per questo avere un padre spirituale, un confessore fisso, che stando al di fuori, può vedere anche da un’altra prospettiva certe cose che uno dentro di sé non riesce a vedere. Può certamente essere un aiuto in questo senso. Diceva santa Teresa che nei confessori, lei voleva trovare non soltanto la bontà, la santità, ma anche la scienza; quindi diciamo così: trovare una guida, un confessore che abbia queste due doti. Non basta il capire e il comprendere, ci vuole anche la dottrina; è fondamentale: ci vuole! Ci vogliono tutte e due insieme senza trascurare né l’una né l’altra.

Cosa consiglierebbe, proprio a partire dalla sua lunga esperienza, ad una persona che intenda vivere con serietà la vita cristiana? Quali ritiene siano gli elementi fondanti di una solida vita spirituale?

Bisogna vedere cosa si intende per vivere la vita cristiana! Come detto nella domanda: vivere con serietà; certo che è necessario essere seri, la serietà possiamo dire è il punto di partenza. Partendo dalla mia esperienza, penso che ci voglia almeno un periodo di vera vita di fede, intendo dire di vera vita cristiana, lontano dalle cose superflue, prima di decidere eventualmente. Considero che passare di colpo, direi che può essere azzardato; certo, le vie del Signore sono tante e sono misteriose ma passare di colpo da una vita dissipata, tanto per usare un termine, o meglio ancora una vita semplicemente umana, senza puntare al trascendentale, e poi tutto di colpo? No; non funziona sempre così, o almeno la mia esperienza personale non è stata questa: c’è stato un ponte. Direi che c’è stata una preparazione, una presa di coscienza della serietà della vita di fede. La vita di fede è stato un primo passo, un progresso se si può dire così, prima di pensare a farmi religioso, sacerdote ecc. Questo per dire che il resto viene dopo, gli inizi sono fatti di altre cose.

Padre Albano, si può dire quindi che anche nella vita spirituale sia meglio camminare con passo lento e sicuro, piuttosto che farsi prendere dalla fretta o dall’ansia?

Assolutamente sì: il Signore ci dà tempo; c’è sempre un tempo per tutto.

E gli elementi fondanti?

La fede. La fede è il principale punto di partenza e non solo; una vita profonda di fede è la base di tutto.

A ciò si aggiunge l’importanza una solida vita spirituale: bisogna pregare, la preghiera è centrale; i sacramenti e una vita sostenuta continuamente dai sacramenti, questo rappresenta un’imprescindibile e costitutiva parte della vita cristiana.
Se posso riassumere così, gli elementi fondanti di una solida vita spirituale in sintesi sono: la preghiera, i sacramenti, una buona guida spirituale -che ai nostri giorni non è sempre facile trovare-, che deve avere le qualità per le quali riesca davvero, ad un certo momento, a guidare e indirizzare la persona senza nessun dubbio. C’è da dire che dipende anche dall’apertura che l’interessato abbia avuto o avrà verso il confessore o il direttore spirituale; ma è importante che ci sia questo confronto, questo scambio, che mi sembra non sia solo utile ma quasi indispensabile.

Nella vita cristiana, ritiene che venga prima imparare ad amare o imparare ad essere amati?

Qui la risposta è già inclusa: «Dio è amore». Cioè, prima noi siamo stati amati da Dio, e poi si impara ad amare e solo in seguito – e probabilmente proprio a causa di essere stati oggetto di amore – possiamo imparare ad amare veramente, non egoisticamente, ma ad amare e voler il vero bene all’altro. Il bene dell’altro viene di conseguenza perché l’amare in questo modo ci rende anche amati, ma bisogna -ripeto- imparare a farlo immergendosi davvero nella pedagogia dell’amore gratuito di Dio.

Ritiene che la vita cristiana nella quotidianità si possa dire operosa anzitutto nel momento in cui essa diventa scuola di carità?

Se vogliamo una vita cristiana autentica vuol dire amore di Dio e del prossimo. E questo è quanto basta. O in altre parole si potrebbe senz’altro dire che la vita di fede è vita di carità. Non c’è altro da aggiungere.

Cosa significa vivere con Cristo, per Cristo e in Cristo, nella vita quotidiana, dopo oltre sessant’anni di vita consacrata e sacerdotale?

Vuol dire orientare tutta la propria esistenza secondo quegli orientamenti che troviamo in Cristo, quindi la sua dottrina, la sua Parola. Per spiegare meglio il vivere per Cristo e in Cristo vorrei utilizzare questo esempio: su Socrate, leggo i dialoghi di Platone, attraverso i quali ricevo per così dire l’immagine e la dottrina di Socrate (anche perché Socrate non ha lasciato nessun suo scritto). Non è questo il nostro caso: vivere con Cristo, per Cristo e in Cristo, è prendere Cristo come fonte della propria vita, come ispirazione della propria vita; ispirazione qui vuol dire naturalmente vivere il Vangelo che traduco sempre nella vita di tutti i giorni. Cerco l’aiuto di Dio con tutta umiltà, davvero con tutta l’umiltà possibile, e cerco appunto di tradurlo nella mia vita concreta. Quindi gli atteggiamenti di Cristo, la sua azione, il suo modo di agire, la sua parola e insomma tutto l’insieme che è in e attorno a Cristo, mi fanno vivere nel momento in cui si innestano e divengono vita della mia vita.

Cosa consiglia ad un giovane d’oggi che sta compiendo scelte importanti nella sua vita? Che ruolo ha l’ascolto nella scelta?

Intanto bisogna vedere chi è questo giovane: quale sia la sua mentalità, la sua formazione, cosa pensa. E poi: che ruolo ha l’ascolto? Ma l’ascolto di chi o di che cosa?
Certo che l’ascolto è importante, ed è importante nella vita in generale. In ogni scelta: mi sposo, non mi sposo? Vivo da solo? Cosa studiare?
Tante volte può dipendere solo da noi, ma spesso non dipende unicamente da noi stessi, ma dalla formazione messa insieme alla crescita, e dal piano di Dio che a poco a poco scopriamo lungo il nostro cammino.
L’ascolto ha comunque un ruolo importante, privilegiato. Non si può scegliere da un momento all’altro senza riflettere. Ecco che subentra l’ascolto di sé stessi, la riflessione, il conoscere sé stessi, che vuol dire conoscersi in maniera tale anche da poter fare delle scelte che siano in armonia con quello che si è, e non con quello che pensiamo o vogliamo, o desideriamo di essere ma che non siamo. Quindi si presuppone un po’ di buona e progressiva conoscenza di sé stessi per quanto è possibile.
Direi però che alla base di questo ascolto, deve esserci la sincerità nel guardare dentro sé stessi. Ripeto: non bisogna avere paura di trovare e scovare i propri mostri perché naturalmente anche questo ci permette di vedere meglio e di conoscere e cogliere anche delle nostre qualità, magari nascoste, perché in tutti noi c’è del bene e del bello sempre da scoprire con meraviglia.

Cosa consiglierebbe quindi concretamente a questo giovane ricercatore, intento a scoprire la propria vocazione?

Consiglierei di fare un periodo di ritiro, non esclusivamente religioso, sì che abbia un margine anche religioso, ma un ritiro serio per poter pensare solo a sé stesso, guardandosi dentro attentamente, ascoltandosi senza distrazioni, senza illusioni, con grande sincerità. Detto così sembra semplice ma non lo è, perché dire senza illusioni presuppone una maturità da adulti, da più che adulti direi: adulti che ormai hanno imparato a vedere sé stessi senza vaghe illusioni, e questo forse da un giovane non lo si può pretendere nell’immediato; ci vuole strada, bisogna intanto mettersi in cammino.
Però si può pensare sì ad uno sforzo di essere sinceri con sé stessi, al costo di farsi un po’ di male, cioè di soffrirne per le conseguenze che ciò implica; è un’impresa che richiede grande coraggio e, al contempo un graduale abbandono fiducioso.
Non ci si deve soffermare però a guardare i mostri dentro di sé. Questo guardare dentro, significato anche e soprattutto guardare il bene e il bello che ci abita: guardare sempre tutto l’insieme senza frammentare nulla. Guardare le capacità che ci sono, perché altrimenti andiamo a finire nel pessimismo e uno rischia di distruggere sé stesso, di annullarsi. Questo psicologicamente può essere una autodistruzione, e questo non deve assolutamente accadere!
Guardare bene con serenità e sempre con l’aiuto di qualcuno che ci conosce bene, che ci ha conosciuto, che ci vuole davvero bene, magari un vecchio insegnante che ci ha avuto sotto i suoi occhi per diversi anni, quindi che sa veramente come siamo.

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