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L’individuo è un’eccellenza, è un universo. L’errato ma consueto utilizzo della parola individuo oggi rimanda sovente ad un altro sostantivo: individualismo. È proprio così? No, “semplicemente” un travisamento della parola individuo è la fonte di un’equivocità persistente, conseguenza a sua volta dello smarrimento del significato adeguato e puntuale delle parole nella società contemporanea.

Ora, volendo introdursi in una prospettiva valorizzante l’individuo, si potrebbe procedere con un’accurata analisi della fondazione metafisica dell’individuo, proprio a partire dall’imprescindibile nozione di sostanza. Tale via, pur essendo la più rigorosa, comporterebbe un’esposizione estremamente articolata che, dovendo realizzarsi in poche righe, richiederebbe una previa conoscenza da parte del lettore di indispensabili nozioni di metafisica aristotelica. Non si procederà dunque in tal modo. Ciò nondimeno vorrei condurvi ad osservare il panorama sconfinato “dell’individuo” – è troppo bello per arrendersi – da un sentiero differente, più accessibile, naturalmente meno rigoroso e, pur bisognoso di opportuna contestualizzazione, tuttavia affascinante. Ecco la nostra cartina; sulla cartina un titolo: Heptaplus. L’autore: Giovanni Pico della Mirandola.

Prima di incamminarci, una breve spiegazione della cartina: consultiamo bene l’indice e la “legenda”. Cos’è l’Heptaplus? O meglio, leggiamo anche il sottotitolo: “de septiformi sex dierum Geneseos enarratione”. Il sottotitolo già spaventa un po’…vediamolo in italiano: della settemplice interpretazione dei sei giorni della Genesi; no, non aiuta molto. Proviamo a leggerlo così, in modo più ampio: Heptaplus (letteralmente: sette volte sette): interpretazione allegorica dei sei giorni della creazione. Ora è più chiaro, ma che relazione – anche da questa parola si può intraprendere un altro sentiero stupendo ma…sarà per un’altra volta – c’è con il nostro discorso attorno al termine individuo? Ora guardiamo l’indice della nostra cartina. Ecco abbiamo trovato il luogo in cui ci troviamo, andiamo alla pagina indicata. Osserviamo bene: ecco, questa è la via “direttissima” – cosiddetta in gergo alpinistico -, quella impervia della fondazione metafisica che abbiamo ritenuto eccessiva per il momento: ci mancano le “piccozze”. Ecco invece il nostro sentiero; diciamolo subito, non si godrà degli stessi panorami che si potrebbero gustare percorrendo la “direttissima”, ma non c’è male. Accontentiamoci per ora. Seguiamolo attentamente con lo sguardo…ed ecco la meta: si chiama universo.

Il nostro punto di partenza: l’individuo. Il nome del sentiero che percorreremo: Heptaplus con tutto il sottotitolo che segue e… il nostro traguardo: l’universo. In questa ascesa metaforica non dimentichiamo mai questi tre punti di riferimento. Bene, possiamo partire? Non ancora, manca un’altra considerazione “geografica” importante.

Chi è Pico della Mirandola? In breve, un genio. Uno tra i più influenti e brillanti umanisti e filosofi italiani del XV secolo. Non è il caso di riportare i tratti meramente biografici di Pico (1463-1494)1; per quel che ci occorre sapere è sufficiente ricordare almeno un aspetto determinante: in Pico si fondono magia, ermetismo e Cabala e, accanto a ciò, la sua continua tensione alla cd. pax philosophica, ossia un tentativo di creare una sorta di sapere universale, che conciliasse non solo varie scuole filosofiche, in particolare quella platonica e quella aristotelica, ma anche differenti discipline. Per essere il più sintetico possibile: l’intento è ricercare una convergenza universale che accomuni i pensatori di tutti i tempi; la pax philosophica a sua volta si pone come fondamento per una “pace” più ampia, la cd. pax unifica, una globale pace umana (non si dimentichi il contesto storico particolarmente belligerante in cui visse Pico). Il filosofo in ciò ha un ruolo imprescindibile: elaborare le differenze in uno schema unitario. Pico tentò di realizzare questa immensa impresa nelle cosiddette “novecento tesi”, opera condannata dall’autorità ecclesiastica per via, in particolare, del dubbioso sincretismo dottrinale operato. In questa “maglia” fitta il rapporto tra l’uomo, l’universo e Dio costituisce un tema centrale. Ecco, ora possiamo iniziare ad incamminarci.

Per introdurci meglio nell’esplorazione della parola “individuo” vorrei subito indicare una sosta lungo il nostro percorso da cui si apre uno scorcio che già ci permette di vedere velatamente il traguardo. Accanto all’Heptaplus, Pico della Mirandola, nel testo Commento sopra una canzone d’amore di Girolamo Benivieni (poeta amico di Pico), così scrive: «La natura dell’uomo, quasi vinculo e nodo del mondo, è collocata nel grado di mezzo dell’universo; e come ogni mezzo partecipa degli estremi, così l’uomo per diverse sue parte con tutte le parti del mondo ha communione e convivenza, per la quale ragione si suole chiamare Microcosmo cioè piccolo mondo»2. Proprio come noi stiamo facendo, Pico è come se ci guidasse ad ammirare un panorama da uno sperone roccioso. Ma cosa vediamo, o meglio intravediamo, tra le nuvole? Potremmo dire l’uomo, l’individuo, così come l’universo. Si badi, non l’umanità, non un uomo, ma quell’uomo specifico, individuo umano, sussistente – per essere precisi -; dal punto di vista ontologico è sostanza prima, “questo qui”, indicabile, reale. Ma non scivoliamo nella trattazione puramente metafisica; si può dire invece che – più in generale – da questo squarcio osserviamo l’individuo, unico, univoco, irripetibile, insostituibile, incomunicabile. Ecco, osserviamo l’universo svelato a misura dell’individuo nell’individuo medesimo. L’uomo è un oblò in cui osservare l’universo, è centro di riflessione – uno specchio – dell’universo; è, appunto, un microcosmo, assolutamente inclusivo.

Continuiamo ora sul nostro “sentiero”, l’Heptaplus, stando attenti nella considerazione di ogni dettaglio. Nel secondo proemio dell’Heptaplus si trova materiale per compiere un ulteriore passo avanti. Dopo avere ricostruito “la struttura dell’universo” secondo i tre mondi3 Pico sostiene: «C’è, oltre i tre (mondi, ndr) di cui abbiamo parlato, un quarto mondo in cui si trovano tutte le cose che sono negli altri. E questo è l’uomo, che appunto perciò, come dicono i dotti cattolici, è indicato nell’Evangelo col nome di ogni creatura, quando è detto che il Vangelo va predicato a tutti gli uomini, e non tuttavia ai bruti e agli angeli, ma, secondo il comandamento di Cristo, a ogni creatura. È espressione comune nelle scuole che l’uomo è un microcosmo, in cui il corpo è misto degli elementi, in cui c’è lo spirito celeste, l’anima vegetale delle piante, il senso dei bruti, la ragione, la mente angelica e l’immagine di Dio»4. Per intendere meglio questo passaggio focalizziamoci sul nostro traguardo: universo. Cosa significa? Uni-verso, universus (cioè “tutto intero”) unus-versus (participio passato di “vertere”), cioè – rispettivamente – uno e volgere; in senso stretto dunque universo sta a significare ciò che è volto tutt’intero nella stessa direzione. E, per rimanere nel quadro metaforico, qual è questa direzione? Quella che ci fornisce l’Heptaplus, quella dell’uomo microcosmo. Allora, l’uomo ha il privilegio, l’altissima dignità mediana mutuata dalla predilezione divina5, di essere il fulcro – l’effigie – della creazione e presenta in sé come un riflesso irripetibile dell’intera creazione; è una sintesi straordinaria di tutto l’universo. Tutto converge verso l’irripetibile e si affaccia in esso, si volge verso l’uno. Individuo, in-dividuus, ossia non-separabile. In questa unità tutto è presente e tutto è riflesso.

Ora, se per individuo si considera poi quello umano ecco che il quadro, nella prospettiva della presente esposizione, si completa. Ogni uomo, come individuo sussistente, è come una “casa senza finestre” (solo per accennare un possibile collegamento alla monade leibniziana) in cui basta chinare il capo e “guardarsi dentro” per ammirare il nostro traguardo, l’universo. “Individuo” è dunque un’eccellenza raffinatissima; perché sprecarne finanche una particella, significherebbe gettare l’universo.

L’individuo, allora, quest’uomo, quell’uomo, ognuno di noi, insostituibile creatura, pensate che dignità ancor superiore giunge ad avere se riuscissimo a cogliere che la nostra eccellenza – proprio in quanto individui – si colloca nel quadro dell’esemplarità. Dio, esemplare, ogni singola creatura, esemplato; ecco, Dio intravisto in ogni creatura e noi con i Suoi occhi vediamo l’eccellenza meravigliosa e insostituibile dell’altro nell’altro; cioè? Intravediamo il riflesso divino nell’altro. Così, individuo e universo, partenza e traguardo coincidono. Abbiamo camminato tanto ma siamo ritornati al punto da cui siamo partiti e questo ci consola. Abbiamo capito che quel panorama che contemplavamo lungo il “sentiero” eravamo proprio noi stessi. Siamo individui, siamo specchi rifulgenti.


1 Per l’approfondimento della biografia nonché degli aspetti di seguito solo accennati e relativi alla dottrina di Pico della Mirandola si consiglia vivamente un testo di uno dei più noti ed autorevoli storici della filosofia rinascimentale: Eugenio Garin, Giovanni Pico della Mirandola, vita e dottrina. Ed. Roma-Firenze: Edizioni di Storia e Letteratura, Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, luglio 2011.

2 G. Pico della Mirandola, Commento sopra una canzone d’amore di Girolamo Benivieni, a cura di E. Garin. Ed. Firenze: Vallecchi, 1942, l. I, cap. 12 (“De l’anima universale del mondo e di tutte le altre anime razionali e della convenienza che ha l’uomo con tutte le parti del mondo”).

3 L’antichità immaginò tre mondi. Più alto di tutti quello sovrasensibile che i teologi chiamano angelico e i filosofi intelligibile, che secondo quanto dice Platone nel Fedro, non è mai stato cantato da nessuno in maniera adeguata. Subito dopo viene il mondo celeste. Ultimo fra tutti questo mondo sublunare che abitiamo. Questo (sublunare) è il mondo delle tenebre; quello (intelligibile) è il mondo della luce; il cielo (mondo celeste) si compone di luce e di tenebre”. Cit., G. Pico della Mirandola, Heptaplus, a cura di E. Garin. Ed. Firenze: Vallecchi, 1942, secondo proemio, pag. 195.

4 Ibidem. Su questo punto bisogna porre una meticolosa attenzione: si consideri questa modalità espressiva di Pico inserita nel contesto della presente trattazione; se trasposto in prospettive differenti, in primis quella etica, questo pittoresco ma ambiguo linguaggio presenta risvolti pericolosi, che minano alle fondamenta un’etica personalista, favorendo invece un’impostazione problematica, come quella sartriana. Secondo quest’ultima, in estrema sintesi, l’uomo non avrebbe una natura originariamente determinata, ma si determina scegliendo. Qui l’esistenza precede l’essenza: impostazione metafisica sul piano aristotelico-tomista inaccettabile. Su tale aspetto, proprio sulla linea Pico-Sartre, il lettore interessato potrà trovare un buon approfondimento in: Michele Ciliberto, Eugenio Garin – Un intellettuale nel Novecento. Ed. Bari: Laterza, 2011.

5 A tal proposito si è detto che Pico desuma proprio la grandezza dell’uomo dalla sua origine divina. Da qui si aprirebbe una possibile e affascinante dissertazione a proposito del rapporto di creaturalità uomo-creatore nel quale l’individuo scopre veramente la sua dignità. Cf. a tal proposito G. Barone, L’umanesimo filosofico di Giovanni Pico della Mirandola, ed. Milano-Roma: Gastaldi, 1949.

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