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La Cappella Sistina, dedicata a Maria Assunta in cielo, è la principale cappella del Palazzo Apostolico, dove si trova la residenza ufficiale del Papa. La volta della cappella ospita il ciclo di affreschi di Michelangelo Buonarroti, finito nel 1512.

La creazione di Adamo, commissionata da Papa Giulio II nel 1511, è l’opera più celebre della Sistina e una delle più celebrate dall’arte universale. Il giovane Adamo è rappresentato nel gesto di porgere titubante il proprio braccio a Dio, come per esprimere il desiderio di accogliere il suo progetto di amicizia, simboleggiato dalla mano tesa del Padre.

L’immagine si interrompe esattamente un attimo prima del tocco. Alcuni pensano che il contatto non avvenga per sottolineare la drammatica condizione dell’uomo che è sì stato creato in grazia di Dio, ma dopo il peccato originale vede rendersi assai difficoltoso il compimento del proprio desiderio di comunione con Dio e con il prossimo: l’uomo sente il bisogno di creare legami per essere felice1, ma rimane sospeso in una condizione in cui non può fare a meno di desiderare una comunione che non avrà mai2. L’uomo, fatto per amare, si sente solo.

L’uomo, creato a immagine della carità di Dio, si scopre capace di cattiveria e se ne vergogna3. La vergogna è un sentimento difficile perché non è facile da sopportare. L’imbarazzo costringe gli occhi a chiudersi. Ma quando il motivo di scandalo coincide con la propria cattiveria, con il proprio peccato, chiudere gli occhi non basta4. Bisogna scappare da sé stessi, o meglio, rinchiudersi in sé stessi. Bisogna nascondersi da Dio per dimenticare la vergogna di essersi da Lui nascosti5, ma Dio non abbandona l’uomo nel suo errore: si insinua nel suo nascondiglio e, dal profondo della sua coscienza, lo spinge a farsi delle domande: Adamo, dove sei?6 Chi è Dio?7 Cosa significa amare?8

Su che cosa sia la carità sono stati versati fiumi d’inchiostro, quindi non mi dilungherò in un panegirico sulla sua essenza, ma mi soffermerò solo su un suo aspetto meramente accidentale e a mio avviso poco considerato: il “tocco”.

Se si definisce l’amore partendo dalla descrizione esterna delle sue attività, ci si accorge di come il “tocco” sia il termine naturale verso cui tende l’azione di chi ama. Per capirlo basta osservare i gesti quotidiani di chi ci sta intorno: il neonato e la mamma che si coccolano, conoscenti che si stringono la mano e amici che si abbracciano sono esempi sufficienti per accorgersi di come l’affetto umano tenda spontaneamente a un contatto fisico. E qual è il fine di questa tensione? Il piacere reciproco.

La conseguenza naturale del “tocco” è il “piacere”, il cui significato ha in sé l’idea di “cura”9. Un “tocco”, dunque, che trova espressione in una carezza intesa come unico atto in cui amante e amato diventano una sola cosa. Il tatto è una condizione sine qua non dell’amicizia. Anche per questo motivo, infatti, chi nega l’esistenza dell’anima afferma che la capacità di relazionarsi coincida con un principio corporeo. Alla luce della fede sappiamo che non è così: il principio delle operazioni intellettive non è il corpo, ma è l’anima10; tuttavia, essendo questa per natura incarnata, necessita di un corpo per esercitare pienamente le proprie funzioni11. Perciò, nonostante l’amore competa all’anima, l’esperienza della separazione è dolorosa.

L’anima ha bisogno del corpo per esprimersi, ha bisogno di vedere l’amato, di toccarlo, e quando ne è privato subentra il pianto: il bambino che chiama la mamma assente, il giovane che ha nostalgia dei suoi amici, la moglie che soffre la lontananza del marito sono la testimonianza di come, senza l’aspetto corporeo, il legame è troncato, reciso e chi lo porta in cuore è sterile come Adamo verso Dio, è portatore di un bene non comunicabile. Il lutto è la piena realizzazione di questo dramma umano. Dramma che, in ultima istanza, coincide in un desiderio reciso di comunione con Dio, ossia in un’umanità immersa nel peccato.

«Ma, Dio dà prova del suo amore per noi nel fatto che, quando eravamo ancora peccatori, Cristo morì per noi. Dunque come allora a causa della caduta di uno solo [Adamo] si riversò su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’atto di giustizia di uno solo [Gesù] si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita» (Rm 5,8.18).

Ecco qui, improvvisamente, nella presente situazione il rinnovarsi della gratuita amicizia di Dio. Mentre l’umanità era ancora peccatrice, debole e incapace di vincere la propria condizione di “separata” da Dio e dal prossimo, Cristo le offre la possibilità di risorgere a vita nuova.

La Risurrezione è il culmine della vita cristiana e procura agli uomini, in forza della consacrazione battesimale, la grazia dell’adozione filiale che li rende pienamente configurati a Cristo12. Il che non cancella la natura umana, ma la presuppone e la perfeziona13: se da un lato la natura dell’uomo redento dal battesimo rimane espressione di un’umanità che per relazionarsi ha bisogno anche di una dimensione fisica, dall’altro questa relazione è liberata dalla schiavitù della separazione e del lutto.

Se Dio si è fatto uomo per fare dell’uomo un Dio, allora possiamo affermare che come i cristiani, in virtù dell’Incarnazione, sono diventati prolungamento della carità che Dio porta all’umanità14, così Dio, sempre in virtù dell’Incarnazione, ha reso sé stesso pane di vita eterna, affinché la vita dei cristiani sia assorbita nella sua e che il loro amore, intrecciato con il suo, raggiunga il proprio amato in unione con lui15. La naturale tensione al “tocco” non è stata cancellata, bensì perfezionata in una nuova carezza che riunisce amato e amante in un nuovo unico atto: la preghiera.

Quando prega il cristiano si unisce al suo prossimo per mezzo della propria unione battesimale con Dio: né il distanziamento, né la malattia, né la morte, né qualunque altra forma di separazione, potranno impedirgli di ricongiungersi ai propri affetti tramite un “tocco”, non più necessariamente fisico, ma di pura comunione in Dio16. La separazione del peccato originale è ricucita, la morte sconfitta per sempre, Dio e umanità riconciliati in un unico corpo mistico: l’unione dell’anima con il Signore, cioè con il proprio capo, e con i fratelli, che sono le altre membra, è diventata più forte dell’unione con il proprio stesso corpo fisico17.

 

1 Gen 2,18.

2 Ct 3,1.

3 Gen 9,6.

4 Sal 68,6-9.

5 Gen 3,8.

6 Gen 3,9.

7 Mc 8,29.

8 Mc 12, 28-34.

9 Mc 1, 40-42.

10 Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I, 75, 1, trad. it. a cura dei Frati Domenicani, Bologna, ESD, 2014, p. 804.

11 Ivi, I, 75, 2.

12 Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n. 131.

13 Ivi, I, 1, 8 ad 2.

14 Cfr. Il messaggio di Santa Caterina da Siena dottore della Chiesa, Roma, Edizioni vincenziane, 1970, p.266.

15 Cfr. Fulton J. Sheen, Vivere la messa, Milano, Edizioni San Paolo, 2012, p.51.

16 Rm 8,38-39.

17 Cfr. Raniero Cantalamessa, Sorella morte, Milano, Ancora, 1991, p.42.

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Mi chiamo Alessandro Cestari, in religione fra Alessandro Giordano Maria. Sono nato a Milano il 1 dicembre 2000, da padre trentino e madre pugliese. Mi sono diplomato al liceo classico del seminario Vescovile di Bergamo nel 2020, mentre l’anno successivo, il 13 Febbraio 2021 ho fatto la vestizione nel convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano, dove il 3 Settembre 2022 ho fatto professione semplice. Attualmente vivo al convento di San Domenico a Bologna e frequento lo Studio Filosofico Domenicano