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Una falsa etichetta

Lo devo ammettere: la definizione di Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I, come il Papa del sorriso1 non mi ha mai convinto, a dire il vero non mi è mai piaciuta. Si tratta di una qualificazione limitativa e fuorviante che non permette di cogliere la vera statura spirituale e culturale di questo grande uomo di Chiesa.

Dopotutto è tipico attribuire tali etichette ai papi. Anche Papa Giovanni XXIII venne definito come il Papa buono come se Pio XII, suo immediato predecessore, non lo fosse stato! Permettetemi di dire che sono delle designazioni del tutto riduttive, banali e ingannevoli! Tornando al nostro Papa Luciani, meglio al Beato Papa Luciani, vorrei ripercorrere alcune tappe significative del suo ministero per poi lasciare la parola a lui, e metterci così in ascolto del suo insegnamento.

L’umiltà nel sangue: quella volta che il piccolo Albino chiese l’elemosina

A Canale d’Agordo, paese d’origine di Albino Luciani, tutto ha il sapore della semplicità, della povertà. Un campanile, un pugno di case, una piazza, una scuola. Buona gente, di grande fede cattolica, generosa, dedita al dovere e abituata alla povertà. La neve d’inverno scendeva copiosa: l’asprezza della vita si faceva ancora più consistente e i grandi disagi continuavano fino al mese di aprile. Una vita fatta di lavoro greve e di privazioni continue, di sacrifici e di rinunce.

Con la prima guerra mondiale e, soprattutto, nel primo dopoguerra, diventa arduo mettere qualcosa in pentola. Bortola, la madre di Albino, è angosciata e non sa cosa dare da mangiare ai figli. Allora decide disperatamente di inviare Albino in compagnia della sorella a chiedere la carità giù in paese. Un’ora dopo i bambini tornano con una patata e una fetta di polenta. In seguito la mamma non ebbe più il coraggio di ripetere l’esperienza.

In un’altra occasione Albino rese un servizio a una signora, dalla quale ebbe come compenso un pezzo di pane bianco. Aveva fame, ma non lo mangiò, lo mise in tasca. Tornò a casa dopo due-tre ore di cammino e portò il «dono» al fratello Edoardo. Che generosità!
In questo contesto contadino di estrema povertà crebbe Albino, e fu una vera palestra per allenarsi a crescere nella virtù più importante, che sta a fondamento di tutte le altre: l’umiltà. Questa virtù divenne sin da bambino, per così dire, parte integrante del suo DNA.

Un sacerdote umile e formato

Il 17 ottobre 1923, all’età di 11 anni, Albino parte per il seminario minore di Feltre. Qui trova una rigorosa e robusta disciplina che lo preparerà al meglio per l’ordinazione, acquisendo i salutari anticorpi per respingere errori, vizi, peccati. Una formazione sacerdotale a pieno regime in un seminario dove le filosofie e le teologie moderne non avevano ancora scardinato grandi autori, come san Tommaso d’Aquino. Nel seminario si vive anche la povertà. Ma Albino è abituato: ogni seminarista viene a costare alla diocesi 2000 lire all’anno, mentre in media la maggior parte può pagare soltanto 500 lire. Nel febbraio del 1935 dopo la formazione necessaria è ordinato diacono.
Tuttavia, Albino è troppo giovane per essere ordinato sacerdote: occorre la dispensa della Santa Sede.

La dispensa da Roma arriva nel giugno dello stesso anno. Il 7 luglio verrà ordinato sacerdote. Dopo una prima esperienza in parrocchia, viene chiamato in seminario come vice-rettore e rimarrà nell’ambito della formazione per circa vent’anni, in varie vesti: come educatore, professore di teologia, ma anche storico, pedagogo, amministratore e giornalista.

Le sue giornate sono intense, ma la Messa e la preghiera restano punti fermi e prioritari della sua vita sacerdotale. Agli studenti raccomandava: «Non lasciate passare giorni senza aprire qualche libro… Leggete con la matita in mano, non siate vir unius libri», poi ancora dirà da vescovo ai suoi seminaristi: «Dovete diventare come se un orologio vi battesse dentro dicendovi: “Su! È ora di pregare, è ora di studiare!”».

Un vescovo alla san Pio X e non alla «volemose bene»

Da vescovo di Vittorio Veneto, di fronte alla ribellione ripetuta della comunità di Montaner che voleva imporre alla diocesi il nome del parroco per motivi principalmente ideologici, Luciani non esitò a piombare in paese, portare via il tabernacolo con l’eucarestia ed annunciare l’interdizione canonica contro la parrocchia. Una decisione sofferta, da cui scaturì uno scisma, ma resa obbligata anche dalla necessità di difendere l’incolumità dei sacerdoti inviati lì per svolgere il loro mandato e che furono ripetutamente intimiditi e cacciati dai «ribelli».

Dietro al sorriso, dunque, non si nascondeva un «bonaccione». Tutt’altro: Albino Luciani fu vescovo grintoso, mai arrendevole, pronto a confrontarsi con tutti ma non certo intimorito nel dover prendere una posizione, seppur scomoda. Uno dei suoi ritratti più veritieri, in questo senso, lo fornì l’allora cardinale Ratzinger nel 2003:

«Era un santo per la sua grande bontà, semplicità, umiltà. E per il suo grande coraggio. Perché aveva anche la forza di dire le cose con grande chiarezza, anche andando contro le opinioni correnti. Lo dimostrò, ad esempio, durante la campagna per il referendum abrogativo del 1974 sul divorzio. Quando la FUCI di Venezia stampò un pamphlet a favore della legge divorzista, in contrasto con le indicazioni della Cei, il Patriarca prese la decisione di sciogliere il gruppo universitario. Qualcuno è arrivato a dire che la sua intransigenza dottrinaria, soprattutto nelle questioni di fede e di morale ricordasse molto quella di San Pio X».

Proseguiremo prossimamente in un altro scritto l’approfondimento della vita del beato Luciani a partire dagli anni del Concilio, fino alla sua elezione al soglio di Pietro.

1 Cfr. C. SICCARDI, Giovanni Paolo I. Una vita per la fede, Paoline, 2012, per tutte le citazioni presenti in questo articolo.

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Veritas. È uno dei motti del nostro ordine. Che bella questa parola. Sembra che sia scomparsa dal nostro vocabolario, dai nostri discorsi, oserei dire, anche dalle nostre omelie. Veritas. Che bella parola. Eppure non interessa più. Basta osservare nei salotti televisivi quanto successo riscuotano i cosiddetti “opinionisti”. Il nostro tempo sembra aver fatto una scelta apparentemente vantaggiosa: ha preferito l’opinione rinunciando alla Verità. Tutti “vendono” le loro opinioni, tutti si sentono autorizzati a dire e a commentare qualsiasi cosa. Ecco che allora desidero essere un cercatore della Verità! Non mi accontento delle opinioni anche se le ascolto volentieri! Fin da piccolo ho avuto questo desiderio per poter rispondere alla grandi domande di senso! Frate perché? Per mettermi a servizio della Verità in Persona: Gesù Cristo.

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