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Questo è il primo di quattro articoli dedicati allo studio nella vita domenicana. L’analisi non sarà né storica né giuridica, aspetti che mal si concilierebbero con il fine volutamente divulgativo di questi articoli, atti modestamente a illuminare quei tratti caratteristici del domenicano, dunque della vocazione domenicana. Inoltre, si rischierebbe di cadere in aride e ridondanti erudizioni; quest’ultime già troppo frequenti e, ad avviso dello scrivente, alquanto distanti dalla missione dell’Ordine. Come infatti riportano costantemente le Costituzioni1, esso è stato fondato e continua a vivere, tramite la predicazione ad ogni livello, per la salvezza delle anime di tutti – quanto mai oggi – e non solo di intellettuali, parte di gruppi ristretti ed elitari, forse saccenti ma non sempre sapienti.

Ciò premesso, nel presente scritto si tenterà di approfondire la distinzione tra erudizione e sapienza, alla base dello studio del domenicano. Nei successivi articoli invece si guarderà allo studio mediante tre figure: studio come specchio, studio come chiave e studio come lucerna.

Dunque, ecco alcune immagini. Il domenicano saccente è simile ad un latifondista che si vanta del rigoglio delle (sue) piantagioni, il domenicano sapiente è un semplice contadino che osserva meravigliato i campi e rende grazie. Il domenicano saccente è come una guida che parla del quadro che sta alle sue spalle, il domenicano sapiente desidera rimanere in un angolo della stanza parlando dell’opera, cosicché tutti la possano gustare e ammirare. Il domenicano saccente è un goffo corazziere a cavallo, quasi soffocato dal peso dell’armatura, il domenicano sapiente è un rapido messaggero che corre scalzo sul campo di battaglia. Il domenicano saccente è una libreria sempre chiusa “per ferie”, il domenicano sapiente è una biblioteca ambulante sempre aperta per passione.

In queste immagini c’è tutto san Domenico, “maestro di sapienza”2; anche conoscendo generalmente la sua vita, se ne possono cogliere i tratti fondamentali. Si potrebbe continuare con le similitudini ma non ce n’è bisogno: il sapiente è un innamorato che ha bisogno di gustare semplicemente la Verità e non può fare a meno di trasmetterla. Il sapiente ha una visione convergente, non prende tutta la matassa per cercare di capirci qualcosa, ma la osserva, la scruta dall’alto per trovarvi i tratti unitari e così prendere con poco il tutto.
Si badi bene, non si condanna l’erudizione, si biasima tuttavia quell’erudizione miope, che degrada lo studio a mero accrescimento “di sé stessi”; essa ha ben poco di cristiano e nulla ha a che vedere con il domenicanesimo.

È fuorviante ed errato definire saccente il santo Padre Domenico, era piuttosto un innamorato della Verità; sapeva gustarne gli aromi più nascosti, deliziandosi per deliziare. Quando cantiamo in coro quel versetto del salmo che così recita: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore3, mi piace immaginare Domenico, uomo di Dio, come quel lievito di sincerità e di verità di cui parla san Paolo4; un lievito che non corrompe la pasta, ma che permette di gustarla e di apprezzarne la fragranza oppure come una farfalla che si posa sul fiore (si badi all’articolo determinativo) e succhiando il nettare e portando con sé il polline feconda i fiori su cui si posa, cosicché potranno produrre frutti. In quest’ultima immagine c’è tutto, c’è la natura più profonda della sapienza: c’è il gusto, c’è la dimensione comunionale, c’è la testimonianza, c’è l’itineranza, c’è la passione che attrae, c’è la fecondità (data dallo Spirito Santo), c’è la pregnanza del vissuto, c’è la contemplazione, c’è poi l’agire fruttuoso, c’è il dinamismo dell’apostolo, c’è la compassione, c’è infine il desiderio di vita nuova. Sì, meditate pure su quest’immagine; anzi, se avete un giardino, un balcone con piante e fiori, oppure semplicemente un vaso di fiori sulla finestra e se non l’avete, pensateci quando passeggiate nei parchi in città, in campagna o nei boschi sui colli… Non badate solo a potare e innaffiare le piante e i fiori (lavori che pure hanno un significato profondamente teologico5), insomma, non lasciate che lo sguardo dimentichi di “gustare” la presenza di Dio in tutto, poiché tutto – ed eminentemente la natura – è strumento di contemplazione, una porta del “tempio” in cui si incontra Dio. Bene, osservate i fiori, soprattutto in questo periodo non mancano api e farfalle che si posano su di essi; se volete pensate a san Domenico, uomo di Dio, vedetelo come quella farfalla o quell’ape impollinatrice, che posandosi su un fiore (consideratelo come unico, la Verità, Cristo) senza perder tempo si solleva in volo per posarsi altrove, depositando così il polline sul nuovo fiore da cui nascerà un frutto. Ora, se volete pensare a cosa sia lo studio per il domenicano, pensate ad un insetto impollinatore, all’ape per esempio, che succhia (assimila) il nettare (Verità) dal fiore (Parola-Cristo) e si carica (dimensione contemplativa, calare nella propria vita la Verità gustata) di polline (Verità da annunciare) per poi partire (testimonianza-predicazione) e farsi “portatrice di vita (nuova)”, fecondando (opera silenziosa ma essenziale dello Spirito Santo) il fiore (uomo) su cui si poserà. Ecco una possibile interpretazione dello studio per il domenicano, è sempre orientato, in tensione, dinamico, mai statico e distaccato. A partire da qui si sviluppa la dimensione contemplativa dello studio, che verrà trattata nel prossimo articolo.

 

Per leggere il secondo di questa serie di articoli dedicati allo studio nella vita domenicana clicca qui: Lo studio come specchio – parte seconda.


1 Si invita il lettore interessato a leggere i numeri 76 ss. del libro delle Costituzioni e Ordinazioni, facilmente scaricabile sul sito dell’Ordine. Vedrà con quale insistenza la generale salvezza delle anime pervade ogni singolo numero dedicato allo studio. Tali tematiche saranno comunque affrontate, secondo diversi punti di vista, nei prossimi articoli.

2 Cfr. Antifona a san Domenico “O lumen Ecclesiae”.

3 Cfr. Sal 33,9.

4 Cfr. 1Cor 5,8.

5 Cfr. Gv 15,1-8 e 1Cor 3,5-9.

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