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L’altezza si guarda dal basso1

Avete mai provato ad osservare un albero davvero maestoso? Non parlo solo delle famose sequoie americane, ma anche semplicemente di quelle splendide piante nostrane che sembrano offrire al Cielo i loro lunghi e tediosi anni come silenziose preghiere di lode. Quando vi trovate di fronte a simili creature il vostro modo di concepirli cambia a seconda della prospettiva che assumete. Credo che, ciò detto, tre siano le possibilità: dall’alto, dal basso e in via.

Se per qualche ragione vi trovaste a scorgere questo ipotetico albero maestoso dalla cabina di un elicottero, probabilmente la sua grandezza vi sfuggirebbe: ne vedreste solo la cima e vi apparirebbe simile a quella di tutte le altre piante. Se invece, trovandovi a terra, decideste di contemplare la grande pianta senza alzare lo sguardo, vedreste solamente una sezione del tronco e, pur potendone intuire la magnificenza, probabilmente la considerereste solo in virtù della parte che occupa il vostro campo visivo; avreste cioè la consapevolezza di trovarvi di fronte a qualcosa di grande, ma ciò vi lascerebbe indifferenti perché l’unica cosa che toccherebbe la vostra esistenza sarebbe quella limitata sezione che non potreste ignorare. Infine, se riusciste a trovare il coraggio di alzare il capo, fermandovi un attimo, allora iniziereste davvero a vedere lo splendido albero. L’integrità della creatura vi trasmetterebbe la sua perfezione e questa, nel suo genere, vi rammenterebbe la vostra piccolezza e la grandezza di Colui cui entrambi rivolgete le vostre suppliche.

L’immagine dell’albero intende introdurre il tema della perfezione: questa parola ha il potere di spaventare, non solo per la vastità del percorso che implica per colui che l’accoglie, ma anche per il giudizio che reca con sé. Prendere coscienza di una perfezione significa infatti dare una dimensione precisa a noi stessi e ciò, nella vita reale, spesso costringe a porsi come di fronte all’albero, cioè in umile accettazione della nostra condizione.

Le santità di una vita

La vita dei santi monaci e delle sante monache concede, a chi ne fa oggetto di meditazione, la possibilità di rapportarsi con una perfezione nella donazione a Cristo che non può non interrogare chiunque vi entri in contatto. Ciò che nella beata Margherita mi ha aiutato ad osservare dal basso tali altezze è stata la gradualità con la quale ella vi è giunta.

Nata a Pinerolo nel giugno del 1390 da Amedeo di Savoia-Acaja e Caterina di Ginevra, la piccola Margherita trascorre i primi dodici anni della sua vita nel castello di famiglia, dominante la nativa città. Rimasta presto orfana di entrambi i genitori, la principessina acconsente, ad appena tredici anni, a sposare il marchese Teodoro II di Monferrato, parente della famiglia imperiale bizantina e in urto con la casata di lei per questioni territoriali. Lo zio Ludovico le lascia la scelta ed ella, dimostrando una maturità ben superiore ai suoi anni, decide di accettare le nozze, consapevole del loro alto valore politico. Lontana tuttavia dal considerarle un mero strumento Margherita, salda nella fede grazia ad una sana educazione ed agli insegnamenti di san Vincenzo Ferreri2, si santifica in una vita coniugale che, pur non portandola alla maternità, le permette di amare sia i figli di primo letto del marito sia il suo popolo. Divenuta vedova a ventotto anni, e non più legata a doveri di corte, recupera la sua giovanile vocazione religiosa e si fa Terziaria Domenicana assieme ad alcune sue dame, spinta anche dagli scritti di santa Caterina da Siena. Costruendo la sua vita sulla preghiera, la penitenza e l’assistenza ai bisognosi, Margherita diviene presenza viva ed attiva di Cristo nel mondo finché, nel 1450, dopo alcuni anni di preparazione, prende l’abito monastico domenicano divenendo Priora del monastero di Alba da lei fondato. Sarà qui che, immersa nella vita contemplativa, trascorrerà il resto della sua esistenza nel Signore fino alla sua morte il 23 novembre del 14643.

L’orizzonte del seme

Questa brevissima biografia mostra una donna la cui esistenza è stata segnata da tappe che, gradualmente, l’hanno condotta ad una sempre più perfetta donazione al Signore. Ciò che colpisce non è solo la pazienza con la quale ha vissuto le fasi di questa ascesa, ma anche l’umiltà con cui le ha affrontate. Ogni qualvolta il Signore l’ha posta di fronte ad una svolta ella, con fede ed impegno, si è donata a quella specifica situazione, riuscendo a santificarsi in essa. Il suo sguardo appare sempre rivolto verso la perfezione di Dio, verso quella sublime grandezza capace al contempo di schiacciare ed elevare l’anima; ciò le ha permesso di osservare se stessa con piena cognizione e di accogliere quindi il presente che il Signore, di volta in volta le proponeva. Ecco che quindi la perfezione della vita contemplativa, cui le anime ardenti d’amore sono sempre implicitamente rivolte, non deve esserle sembrata né una negazione delle minori perfezioni delle fasi precedenti né un obiettivo capace di oscurare tutto il resto in un rifiuto del presente; piuttosto deve essere stato per lei un orizzonte ermeneutico all’interno del quale accogliere diacronicamente la chiamata del Signore.

Proprio come colui che, di fronte alla maestosità dell’albero, comprende la propria piccolezza e rilegge la sua posizione nel mondo a partire dall’umiltà acquisita, così la maestosità della chiamata contemplativa ha consentito a Margherita di vivere nella migliore proporzione l’umiltà della sua attualità e, così facendo, di santificarsi nei diversi contesti.

Quando quindi consideriamo il nostro rapporto con Dio dobbiamo, sull’esempio della beata Margherita, avere il coraggio di guardare alla più perfetta forma di donazione cui Gesù può chiamare con uno sguardo sincero ed umile, senza temere di essere in qualche modo sviliti nella nostra condizione. Solo la giusta prospettiva della nostra piccolezza ci permetterà di comprendere realmente lo stato al quale siamo chiamati, così da poterne valorizzare la perfezione propria. Così facendo, non solo coglieremo l’attualità in modo nuovo, ma avremo l’occasione di scoprire il valore del silenzio interiore come capacità di attendere con il fiato sospeso le diverse chiamate della Provvidenza senza sovrapporvi i nostri lamenti.


1 «Le altezze sono fatte perché le si guardi dal basso, non dall’alto». Cfr. G. K. Chesterton, Il martello di Dio, in Tutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown, Newton Compton Editori, Roma 2018, p. 140.

2 San Vincenzo Ferrer (nato nel 1350 circa a Valencia, morì il 5 aprile 1419 a Vannes, Francia; fu canonizzato nel 1455), frate aragonese e illustre membro dell’Ordine dei Predicatori, contribuì a porre fine al grande scisma d’Occidente. È ricordato come uno dei più notevoli ed efficaci predicatori del XV secolo. Tra le sue opere, magistrale è il Trattato sulla vita spirituale (De Vita spirituali).

3 Per i dati biografici sulla beata Margherita di Savoia cfr. Massimo Taroni, Beata Margherita di Savoia. Principessa e fondatrice del Monastero Domenicano di Alba, Elledici, Torino 2013.


Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, foto di Forest Holidays, dal nome “Forest Bathing at Forest Holidays”.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it