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Dixi

C’era una volta, non tanto tempo fa, un bimbo morbido e felice che affrontava con un sorriso inaspettato la leggera e calda salita che lo separava da casa. Mentre la sinistra era affidata al dolce e delicato abbraccio delle dita di sua nonna, la destra palpava impaziente la rumorosa confezione delle sue patatine preferite. Mentre attraversava il piccolo giardino che ornava l’ingresso, con la mente già assaporava quei delicati cornetti di mais la cui polvere, incredibilmente simile a quella delle fate, donava loro un familiare ed al contempo alieno aroma di formaggio. Egli ancora non lo sapeva ma la gioia, di solito, giunge sempre accompagnata da una debita corte, tanto che la sua beltà somiglia più a quella di un paesaggio che a quella d’una superba figura. Per questo il bimbo non avrebbe dovuto sorprendersi del fatto che quello snack gli apparisse tanto divino solo perché accompagnato dal fascino rumoroso del televisore.

Giunto in casa, prese il telecomando, scavò un nido sul grande divano e, violato il pacchetto di patatine, si sintonizzò sul canale dei cartoni animati. Quel giorno ne trovò uno mai visto, dal titolo bizzarro: Scooby-Doo! Dove sei tu?1; gli parve subito simpatico, con quel tono retrò che scoprì in seguito di apprezzare molto. Gli elementi positivi c’erano tutti: un simpatico alano, l’allampanato e sempre spaventato Shaggy, uno splendido pulmino Volkswagen e tanti mostri. Quel giorno il bimbo morbido ne guardò cinque episodi, con e senza la compagnia delle sue deliziose fatine gialle; quando tuttavia spense il televisore, iniziando ad aiutare la dolce Anna ad apparecchiare la tavola, si rese conto di essere appesantito da una certa malinconia. «Saranno le patatine» pensò con semplicità, concordando seriamente con se stesso che, in tal caso, ne era ampiamente valsa la pena. Quel senso di malessere però lo accompagnò per tutta la giornata e l’indomani, quando ebbe nuovamente sistemato il suo piccolo nido, preferì evitare i cartoni animati e guardò uno dei suoi film preferiti.

Per chi rimpiange i mostri

Certamente il bimbo morbido non si soffermò più di tanto a riflettere sulla cosa ma, con la libertà che è dote inestimabile dei fanciulli, prese atto semplicemente della realtà ed agì di conseguenza. Gli capitò altre volte di vedere Scooby-Doo! Dove sei tu? e, mano a mano che diventava un uomo tondo, cominciò a rendersi conto sempre meglio di cosa avesse quel cartone animato di così sbagliato. A turbarlo non era né la ripetitività delle situazioni né la banalità delle gag proposte, bensì l’inquietante costanza dei finali. Ogni volta che la Misteri e affini indagava su di un mostro o su di un evento inspiegabile sempre, senza eccezioni, la spiegazione del mistero veniva trovata non in qualche accadimento magico e soprannaturale, bensì nei tristi inganni di ladri e truffatori. Costoro, marchiati dai grotteschi tratti dei loro volti, finivano per essere la grigia ed inevitabile conclusione di ogni fantasia, di ogni racconto magico.

Il tutto era certamente condito con la trionfante felicità di chi, con il lume della ragione, ha disperso le tenebre dell’inganno e catturato i loschi figuri che intendevano servirsene. Tuttavia né il bimbo né l’uomo riuscirono mai a comprendere cosa ci fosse da festeggiare. Tutto ciò che quei simpatici personaggi facevano era sollevare il velo del meraviglioso e rivelare, agli occhi delusi dei più piccoli, il grigio squallore di un mondo dove il bene ed il male si riducono a differenti facce di una moneta. «Quale crudele intento» pensò lo sferico individuo «quello di derubare i bambini della luce che scorgono nel mondo accecando i loro giovani occhi con la cenere della realtà!».

Fu a questo punto che nel cuore dell’uomo s’insinuò uno strisciante pensiero, uno di quei dubbi pericolosi di cui è sempre bene schiacciare immediatamente la testa2: «E se, per quanto triste sia, Shaggy e compagni avessero ragione? Se il mondo fosse davvero un luogo grigio e spento dove ogni cosa, anche la più bella, altro non è che la sgargiante copertina di un’opera sconcia?».

Uomini grigi

La domanda, se ne rese ben conto, superava di gran lunga sia l’ambito che gli intenti di un banale cartone animato; eppure gli parve necessario approfondire la questione, poiché non è strano che gli intrattenimenti dei più semplici custodiscano e trasmettano i pensieri, e gli errori, dei sapienti.

L’uomo tondo dovette ammetterlo: se avesse accolto la visione del mondo soggiacente alla domanda, avrebbe potuto rimproverare al povero Scooby solo di aver accelerato troppo i tempi, non di aver perseguito un intento sbagliato. Avrebbe cioè potuto sostenere che i bambini, proprio in quanto tali, hanno diritto a godersi il loro immaginario mondo luminoso, fatto di mostri e di eroi, almeno finché la realtà stessa non l’avesse ricoperto con la sua cenere.

La questione però era ben più grave di così: lo stesso assunto doveva essere analizzato nella sua veridicità e non accolto acriticamente; solo allora sarebbe stato possibile discutere di tempistiche.

Apparentemente l’idea che il mondo sia una grigia distesa, saltuariamente illuminata da qualche luce artificiale, sembra se non innegabilmente vera, perlomeno credibile. Quando si abbandona la prospettiva limitata dei bambini, la realtà ci assale con tutto il suo squallore, come una totalità cinerea dove l’invincibile egoismo degli istinti la fa da padrone. Tanto grande è lo svilimento che il peccato opera nell’uomo, così vasta la devastazione attuata nella sua anima, che la sola cosa evidente sembra essere il dominio di quegli impulsi animali che semplicemente fingiamo di elevare. Il male, cioè quell’immagine ferinamente semplice dell’uomo che con prepotenza si propone come sola verità, ci si mostra così esteso e potente che la realtà del bene, di quello splendido amore donativo che tanto esaltiamo, finisce per sfumare nelle foschie del sogno. Sconsolato, l’individuo inizia allora a credere che quel mondo così cupo sia, in fondo, il solo possibile e che il vero nemico siano quelle illusioni che tentano di proporre un’immagine dell’umanità protesa verso il Cielo.

Proprio da questa squallida resa nascono i profanatori, gli uomini grigi, coloro che pensano, spesso in coscienza, di fare un servizio all’umanità grattando via dalla realtà ogni affresco di speranza di bene, ogni dominio dello spirito, lasciandosi dietro solo il cemento. La loro convinzione tuttavia non nasce da una visione più chiara del reale, da una dolorosa nitidezza del vero, bensì da un’idealizzazione tanto tragica quanto comoda.

Se infatti è senza dubbio pericoloso convincersi che il mondo in cui viviamo sia ancora sostanzialmente simile all’edenico giardino perduto, altrettanto falsa e rischiosa è l’assolutizzazione opposta, ossia quella che dipinge il creato come quell’orrida regione che Dio stesso negò d’averci donato3. Ambedue le visioni si fondano sull’umano desiderio di semplificazione: l’uomo infatti, sin da quando abbandona i limiti dell’infanzia, si rende subito conto che il mondo è tanto complesso da sfuggire ad ogni forma di controllo tentata dal suo intelletto. La realtà è simile ad uno splendido tramonto, talmente ricco di sfumature e di ombre da rivelarsi sempre nuovo a chiunque non si stanchi di guardare. Abbracciare una di queste idealizzazioni, anche quella terribile ed apparentemente realistica del grigio, soddisfa in fondo la superba aspirazione dell’uomo ad avere un totale controllo del suo mondo. Anche se gli uomini grigi vedono se stessi come impotenti vittime della realtà, nel segreto i loro cuori esultano, poiché sanno che se tutto è coperto dalla cenere, nessun colore potrà sorprenderli.

L’uomo tondo si rese conto che dissacrare il mondo, spogliarlo di ogni bellezza riducendo il bene ad un inutile manto sgargiante, non è la coraggiosa visione di uno spirito tragico, ma la vile fuga di chi non riesce a tollerare un paesaggio che abbia il sapore dello sguardo di Dio. Ripensando alla malinconia di quel bimbo morbido, l’uomo comprese che, a qualche recondito livello di consapevolezza, egli aveva compreso una profonda verità: la realtà supera l’uomo e la bellezza del mondo non può non nutrirsi di quella Luce che trasforma anche le ombre in splendide perle. Il malessere provato da chi lo nega, anche solo nel più intimo anfratto dell’anima, non è dato dal peso della cenere, ma dalla consapevolezza che basterebbe un soffio, un alito di vita per rivelare lo splendore del colore ed amare la realtà come solo il Signore l’ama.


1 Si fa riferimento ad una serie animata realizzata a partire dal 1969 negli Stati Uniti da Fred Silverman e prodotta da Hanna-Barbera. Con il titolo Scooby-Doo! Where are you? venne trasmesso dalla CBS un programma per bambini dalle vaghe tinte horror che, fra alterne vicende, arrivò a contare centinaia di episodi e due film. Tutte le informazioni provengono dalla pagina Wikipedia Scooby-Doo, consultata il 30/09/2021.

2 Cf Gen 3, 15.

3 Cf Is 45, 19.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it