Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono (Mc 1, 16-18).

Forse non li avete mai immaginati così questi versetti, eppure questo incontro decisivo, fondamentale, si è probabilmente svolto nel cuore della notte, quando l’alba era ancora lontana.

È vero: affreschi, quadri e film — riferendosi per lo più alla testimonianza narrata da San Luca all’inzio capitolo V — hanno sempre ambientato la vocazione di Simone e Andrea, i primi discepoli, alla luce del giorno e, probabilmente, anche oggi, nessun scenografo, qualora glielo domandassimo, deciderebbe di rappresentarla al buio! Sembrerebbe una follia, anche solo per il buon senso! Poi, a dirla tutta, San Marco non lo scrive mica!

Ma, vi dico una cosa: dietro questa penna, apparentemente semplice, scarna di mezzi e secca, si cela una ricchezza di effetti a sorpresa non indifferente, dettata soprattutto da uno spiccato gusto per il concreto.

Dobbiamo ammettere che questo è uno dei tanti brani del Vangelo a cui siamo, per così dire, “abituati”; uno di quelli che, ogni qual volta viene proclamato, sentiamo senza ascoltare perché tanto “lo conosco a memoria”. Ma, cerchiamo di essere attenti e concreti: quale pescatore andrebbe al largo a gettare le reti con la luce del sole? Tuttora questa è la prassi e chi, come me, viene dal mare, sa bene che il pesce migliore si trova al mattino presto, sui porticcioli, non appena le barche fanno rientro.

Pertanto abbiamo davanti una scena di quotidianità, di quotidianità notturna: il lavoro di quegli uomini, gente semplice e onesta, era scandito da fatiche vissute nel buio, su una barca; fatiche spesso sterili che, come sappiamo dal gemello racconto lucano, non sempre venivano ricompensate e, quasi con commozione, ci vengono incontro, illuminanti, le parole di Pietro: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5, 5).

All’inizio del Vangelo di Marco, Gesù incontra Pietro di notte prima dell’alba, mentre fatica, forse inutilmente. Dalla parte diametralmente opposta del medesimo Vangelo, Pietro, ancora una volta affannato, incontra Gesù, di notte, prima che il canto del gallo annunci l’alba, mentre porta su di sé le fatiche dell’umanità intera.

L’esempio di Pietro, intimo di Marco e suo padre nella fede, ci mostra una verità quasi paradossale: non possiamo fare fino in fondo esperienza di Dio senza aver sperimentato in qualche occasione il senso del limite, della prova; senza esserci trovarti sull’orlo dell’abisso, tormentati dalla tentazione più grande, mentre diciamo a noi stessi: qui è totalmente buio, non c’è nessuno.

Non può che essere così, dunque: Gesù cerca la nostra umanità nel buio, anzi nel cuore del buio, consapevole di trovarla lì, tutta intera. Ma questo non ci sorprende: è proprio nel buio che Egli ha operato le opere più grandi! Nel buio della notte ci ha lasciato l’Eucarestia; nel buio, in pieno giorno, ha pagato sulla croce il prezzo del nostro riscatto; nella notte più splendente del giorno ha trionfato Vincitore, ribaltando la pietra del Sepolcro!

E così accade con noi: passa e ci vede nel buio delle nostre umane fatiche che spesso ci gettano nella disperazione ma che per Lui sono come il pane. Ci dice la sua parola ri-creatrice e fa di noi, tra le sue mani, l’impossibile: un’Eucarestia vivente in cui tutto ciò che è nostro, viene completamente trasformato.

Da qui la promessa: “vi farò diventare pescatori di uomini” che giunge per confermare ciascuno di noi: non disperare, l’alba è alle porte e se anche giunge la sera, risponderà subito una luce di un Giorno nuovo, il cui primo Raggio farà nuove in te tutte le cose.

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fr. Giuseppe Fracci
Sono nato in un piccolo paese della Provincia di Cagliari nel 1992 e i miei tratti fortemente mediterranei mi caratterizzano e annoverano nel numero del popolo sardo inconfondibilmente, anche se qualcuno ogni tanto mi scambia per sudamericano! Ho lasciato nel 2011 i bei lidi color smeraldo della mia terra, trasferendomi a Milano per studiare Lettere classiche all’Università Cattolica. Potreste portami in qualunque città del mondo ma in ogni caso, sappiate che vi direi ostinatamente: “Milàn l’è semper Milàn”. Tra i Navigli e Brera ho trovato la Vita ma non nei locali di Parco Sempione bensì all’ombra delle magnolie bianche del Chiostro di Santa Maria delle Grazie. Lì, Qualcuno mi ha sussurrato ripetutamente: “va’, e annuncia ai miei fratelli che sono risorto!”. Alla fine ho ceduto e sono diventato bianco anche io… solo nell’abito, la carnagione è sempre la stessa.

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