“Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore“. (Mc 16, 5-8)
Pensate all’affanno! Sì proprio al fiatone, quello che viene mentre si corre, quando si è affaticati. Provate ora a sentirlo. Esagerate! Perché l’affanno delle donne mentre fuggivano dal sepolcro è stato incredibilmente intenso e di questo ne sono certo: la penna dell’Evangelista scrive come una cassa di risonanza qui, quasi a volercelo far sentire, ancora dopo ventuno secoli.
Ma non basta: guardatele anche correre, sfrecciare tra i vicoli del colle Sion fino ad arrivare al Cenacolo, dove c’è Pietro, a cui Marco conferisce nuovamente centralità tra gli Apostoli: sono tutti lì, ancora terrorizzati e latenti, fuggiaschi da ormai tre giorni ma è proprio qui che il racconto giunge ormai al culmine e, pur non indugiando in questa sede sul problema della finale marciana, siamo certi che, con il cuore in gola e il fiato spezzato quelle donne abbiano consegnato il messaggio come le aveva comandato il giovane. Ne siamo certi per una ragione fin troppo ovvia: noi stessi, ora, siamo ancora qui a ripeterci quelle parole:
«Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. (…) vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto»».
Ci eravamo lasciati con un giovane in fuga, delle donne immobili sotto il Crocifisso e con un verbo: cercare. Ora ci troviamo nella situazione diametralmente opposta: c’è un giovane immobile e delle donne che fuggono ma tutto di nuovo converge sul cercare.
Detto così, forse, il nocciolo della questione non è tanto chiaro, per cui azzardo, assieme a qualche voce autorevole, a proporvi di leggere con un’intonazione diversa le prime parole pronunciate dal giovane: voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso? Se ci lasciassimo seriamente interrogare, sono certo che ci affaticherà anche solo il pensiero di dover prendere in seria considerazione questa domanda. Perché? Beh, pensateci un po’ su: che cosa cerchiamo, quando cerchiamo Gesù? Lo cerchiamo veramente per quello che è o piuttosto, il più delle volte, cerchiamo noi stessi e ciò che vogliamo? Lo so, probabilmente qualcuno di voi mi starà dando del disfattista in questo momento ma non è mia intenzione rovinarvi il finale del Vangelo, se non altro voglio mostrarvene la delicatezza: se cercassimo un Gesù diverso dal Crocifisso, un Gesù che non è passato per l’ambiguità estrema della morte, allora potremmo benissimo fermarci qui. Il punto fermo alla fine di quella frase ci starebbe benissimo, inutile andare oltre. Ma l’annuncio della Risurrezione sta al di là, dall’altra parte – osservate bene: c’è una netta distinzione tra le due proposizioni! È chiaro: non saremo capaci di accogliere autenticamente IL Vangelo, QUELLA Buona Notizia, senza aver fatto prima i conti con l’esperienza della Croce.
Occorre qui uno sforzo non indifferente: il nostro cuore, carico di tutte le sue ambiguità, deve passare necessariamente attraverso il Crocifisso, attraverso cioè quell’unico atto d’Amore autentico capace di riconvertire tutta la nostra vita e diventare la radice di ogni nostro desiderio e il fine di ogni nostra ricerca.
Non è proprio semplice farlo, anzi, si tratta di un tentativo che probabilmente abbraccia e comprende tutta la nostra vita, perché riguarda ogni nostra singola resistenza. Tuttavia, se quella frase diventasse seriamente per noi una domanda perenne, beh allora credetemi le cose cambiano, perché cambia radicalmente la prospettiva: la Fede nell’uomo Gesù di Nazareth, vero Dio, consegnato totalmente a noi sul legno della Croce. Ogni ambiguità dinanzi a questa consapevolezza cesserà nel preciso istante in cui avremo corrisposto anche solo per un attimo e goffamente a tutta quell’autenticità che ci viene donata.
Allora scaturisce la vita nuova in Cristo, allora il punto interrogativo avrà portato a termine il suo compito e non sarà più utile: potremmo andare oltre il punto fermo: avremmo fatto Pasqua con Lui e in quel momento ci apriremo definitivamente al di là di noi stessi, in una naturale metamorfosi, come le donne estatiche, fuori di sé. Non ci trasformeremo, nella maggior parte dei casi, in mistici ma neanche in semplici messaggeri o araldi. L’ideale è divenire nel concreto testimoni di un evento che è stato per noi decisivo, che ci ha spinto ad andare al di là dei punti fermi per lanciarci in una corsa senza respiro, per annunciare al mondo: È risorto, non è qui. (…) Vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto.