1. Quando si pensa a un ingranaggio, l’immagine che viene subito alla mente è la ruota dentata, magari all’interno di un meccanismo sofisticato quale può essere quello di un orologio. Insomma, qualcosa che, venendo mossa, trasmette un movimento e dunque muove. L’emblema della funzionalità e della passività, senza dubbio.
2. Nel linguaggio comune, a conferma di queste prime impressioni evocate dalla semplice immagine della ruota dentata, sono attestate espressioni quali “muovere gli ingranaggi giusti” o “essere una rotella dell’ingranaggio”. Esse confermano lo statuto passivo e funzionale del povero ingranaggio, mero mezzo per raggiungere un fine di cui non potrà godere, perché completamente assorbito e identificato nella sua funzione: muoversi senza giungere mai alla quiete, perché il movimento si trasmetta dal motore all’ultimo mosso.
3. Poniamo il caso, però, che la macchina venga spenta. Che ne è dell’ingranaggio? Beh, non è più un ingranaggio! Non essendoci più la necessità di muovere, ciò che prima aveva il compito di trasmettere il movimento e di muovere (e che per tale funzione era chiamato “ingranaggio”) è una semplice ruota con dei dentelli, che diverrà nuovamente ingranaggio all’accensione del motore. Fine della triste storia di una parte rispetto al tutto, talmente organica al tutto da perdere l’identità se presa singolarmente, così come la parete di una casa, senza casa, è un semplice muro.
4. Chiunque, a prescindere dal proprio stato di vita, può aver fatto l’esperienza del sentirsi ingranaggio: magari da giovani studenti, quando si passavano i compiti ai più svogliati per chissà quale motivo (e solitamente, per un’ironica fallacia della giustizia immanente, queste persone, a distanza di anni, si ritrovavano alla guida di aziende o in posizioni di prestigio); oppure quando l’amico si serve della vostra amicizia per poter raggiungere i propri scopi, salvo poi, una volta raggiunti, dimenticare l’ingranaggio (che ha evidentemente perso la sua funzione…); o, per venire a esempi prossimi, la cornucopia di portaborse, autisti, yes-men e comparse varie che, funzionali al grande orologio che è il sistema (politico o clericale non ha importanza), come tanti ingranaggi girano e girano, non sapendo che la loro quiete è vicina (perché il compito si sarà esaurito per lo spegnimento della macchina…).
5. Già, l’orologio: un meccanismo costituito da svariati ingranaggi che, perfettamente sincronizzati fra loro, permettono alle lancette di muoversi in precise durate di tempo. Tale meccanismo è prodotto da un orologiaio, sicché gli ingranaggi sono in una sorta di armonia, prestabilita da qualcuno che, in definitiva, conosce fino in fondo l’utilità di ogni singolo ingranaggio; la ruota dentata è da lui prodotta e inserita nel concerto del meccanismo, è da lui riparata quando il meccanismo non funziona, sicché dal punto di vista dell’artigiano il singolo ingranaggio è degno di attenzione e cura quanto l’intero meccanismo, anzi: il singolo ingranaggio è responsabile del funzionamento e della realizzazione (intesa come fine) del meccanismo.
6. Potremmo allora vedere l’ingranaggio sotto due prospettive: secondo lo sguardo che esso ha di sé oppure secondo lo sguardo del costruttore. L’ingranaggio, dunque, guardato da queste due diverse prospettive di considerazione, è pur sempre ingranaggio, ma la sua conoscenza (e quindi scienza) è diversa. Se lo guardiamo in sé, come parte del tutto, è ben poca cosa, quasi vile. Guardandolo, però, dalla prospettiva dell’artigiano, esso è fondamentale, diremmo quasi necessario: la vita dell’intero meccanismo passa da quel singolo ingranaggio e dipende da quell’ingranaggio.
7. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.” (1Cor 12, 26). Non è forse l’accurata descrizione dell’importanza, a livello di relazione, del singolo ingranaggio (o parte) rispetto al complesso, che è il meccanismo (o tutto)? Se il Divino Artigiano, il Creatore, che ha disposto “ogni cosa con misura, calcolo e peso” (cfr. Sap 11, 20), cioè secondo un ordine, non avesse in qualche modo cura di ogni singolo elemento di quest’ordine, che ne sarebbe della sua creazione? Per questo motivo possiamo vederci come tanti ingranaggi (o cause seconde) in relazione fra loro, che concorrono a conservare e portare a compimento l’opera di Dio, confidando, tuttavia, nella cura particolare riservata a ciascuno di noi dall’Orologiaio: ciò è consolante, perché non si è in una visione cinica, del tipo: “la macchina deve andare avanti, costi quel che costi”! La relazione tra Dio è l’uomo, invece, è la relazione tra un singolo e l’Assoluto, o, per meglio dire: davanti a Dio c’è il singolo individuo, così come davanti all’orologiaio che scruta la sua opera c’è il singolo ingranaggio…
8. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»” (Lc 17, 10). Se nel punto precedente abbiamo visto l’ingranaggio all’interno di un ordine, quindi dal punto di vista relazionale, cosa può insegnarci per l’ingranaggio in sé questo versetto? Beh, l’umiltà di non considerarsi tout-court l’intero meccanismo; la consapevolezza che se colui che viene dopo di noi dipende da noi, a nostra volta dipendiamo da chi ci ha preceduto; la certezza che, quando sarà passata “la scena di questo mondo” (1Cor 7, 31) o quando la nostra missione in questo magnifico meccanismo si sarà conclusa (perché avremo definitivamente scelto di stare con Dio o contro Dio o perché avremo fatto il bene che potevamo e dovevamo fare), non rimarremo che servi inutili, cioè ruote dentate. Il meccanismo si spegnerà e tutto sarà inerte. A quel punto, l’Orologiaio ci prenderà tra le Sue mani e ci scruterà con la lente di ingrandimento; allora inizierà una “nuova vita” per quella ruota dentata: sarà però nuovamente ingranaggio?