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« Perché? » — « Perché ti stai prendendo così cura di me? ». Questa fu la domanda che mi venne fatta da un senzatetto rumeno mentre ero studente universitario. All’epoca vivevo in un appartamento, in un appartamento un po’ particolare perché era nella sede della Caritas a Treviso, dove con altri giovani appartenenti al movimento dei Focolari facevamo vita comunitaria e ci mettevamo a disposizione per un servizio di volontariato, di docce pubbliche.

Alle docce venivano molti barboni, immigrati e in genere gli ultimi della società. Oltre al servizio in sé, si cercava anche di ascoltare fino in fondo la persona che si aveva davanti, mettendosi a sua disposizione, magari nel preparare qualcosa da mangiare, cercando di vedere sempre Gesù Cristo in loro e a comportarci di conseguenza. Da questo sono nate delle bellissime esperienze e, anche, dei rapporti di autentica amicizia. Pensate che uno di loro mi chiama ancora per gli auguri natalizi. Una volta abbiamo persino cenato insieme con del pesce che alcuni di loro avevano pescato nel Sile!

E in quel clima nacque anche quella domanda. Mi colpì molto, perché in un certo senso dava conferma al motivo stesso per cui avevo voluto iniziare quell’esperienza comunitaria: far provare agli altri quell’amore che Dio aveva dato a me.

Un incontro che, insieme con altri miei fratelli, da ragazzo aveva dato un senso pieno alla mia vita, una gioia vera che ti fa capire subito che tutto il resto al di fuori di questa relazione è mera paglia.

E mi chiedevo, come posso comunicarlo? Parlando con alcuni miei coetanei mi ero reso conto di quanto fosse difficile descrivere a parole certe realtà, se non si è sufficientemente “infiammati” di Dio. Io avevo sempre sperimentato che il modo per essere infiammati era stare alla sua presenza, in modo particolare nella presenza di Cristo tra i suoi discepoli: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). E così volli entrare in casetta (si chiamano così le comunità di Gen, cioè dei giovani del movimento).

In quegli anni stavo compiendo gli studi universitari in informatica, materia di cui sono sempre stato un grande appassionato. Al termine degli studi entrai nel mondo del lavoro, come programmatore di siti web.

Tuttavia ad un certo punto, mi resi conto che questa grande passione, pur rimanendo in me, non bastava più. Mi dicevo, se Dio c’è, ed è il tutto della mia vita, perché non dedicare tutta la mia vita a Lui?

Inoltre, l’esperienza forte di carità vissuta in Caritas aveva fatto crescere in me il desiderio di un amore dilatato su tutti, come quello di Gesù Cristo.

Fu in questo momento che scoprii la figura di san Domenico di Guzman. In lui ho visto un santo che coniugava l’amore per il prossimo sia nei beni materiali, sia soprattutto nei beni spirituali. San Domenico, infatti, mentre una carestia imperversava nella città dove studiava, per aiutare gli affamati, vendette i suoi preziosi libri. All’epoca un libro valeva molto. Così disse: “Come posso studiare su pelli morte mentre i miei fratelli muoiono di fame?”. Ma esiste anche un’altra fame che divorava Domenico, una fame di predicazione, perché una persona che ha trovato Cristo nella sua vita non può fare a meno di desiderare che anche altri lo possano incontrare! Del mio padre fondatore, infatti, le cronache narrano che nessuno era più affabile e socievole durante il giorno e che nessuno vegliasse di più durante la notte. La sua preghiera notturna spesso era bagnata da calde lacrime, in favore delle persone che ancora non avevano conosciuto Dio nella loro vita.

Per questo il fine dell’Ordine dei predicatori, l’ordine fondato da san Domenico, è la predicazione per la salvezza delle anime. Con una particolarità: per essere ben formati alla predicazione si richiede uno studio costante, tanto che si potrebbe dire che lo studio rappresenta per il domenicano ciò che per il monaco è il lavoro manuale.

Dopo aver conosciuto la sua vita, mi resi conto che in lui avevo rivisto lo stesso desiderio che avevo provato da ragazzo, di far conoscere agli altri l’amore di Dio. E così presi i primi contatti con i domenicani e divenni anch’io un figlio di san Domenico. Durante questi miei primi anni tra le mura dei conventi ho avuto la fortuna di incontrare dei padri che mi hanno fatto capire con la loro vita il  carisma domenicano, soprattutto in uno studio messo a servizio dei fratelli. Ad esempio durante il mio anno di prenoviziato (una tappa iniziale della formazione in cui si vive ancora da laici in un convento) incontrando alcuni passi dell’Antico Testamento ero rimasto perplesso, perché non riuscivo a comprenderli. Per cui andai a parlarne con un padre anziano, esegeta ed ex professore, e il colloquio con lui mi rese chiaro il passaggio, facendomi comprendere il testo e togliendo la perplessità.

Ora sono al secondo anno di filosofia, e insieme con altri venti confratelli studenti nello studentato domenicano di Bologna, mi sto preparando al sacerdozio. La vita di studentato è molto bella e frizzante, anche se presenta, come tutte le vocazioni, i suoi momenti di prova e di oscurità, in cui viene da chiedersi il perché si vada avanti. Un perché prezioso…

In questi momenti però mi piace pensare alla domanda che mi fece quel mio amico rumeno, e idealmente rispondere sia a lui… sia agli altri miei “perché”: “Perché voglio seguire Gesù Crocefisso”.

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Fra Francesco Maria Antonio Lorenzon, ma vengo chiamato anche fra Franz. Sono un frate originario di Treviso. Prima di entrare nell'Ordine ero un informatico, uno sviluppatore di siti web. Terminati gli studi presso lo Studio Filosofico Domenicano, attualmente studio Teologia a Bologna. Per contattare l'autore: webmaster@osservatoredomenicano.it

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