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Nella nostra formazione religiosa verso il sacerdozio ci sono molti passaggi carichi di significato.
Cercare di spiegarli in maniera esauriente è forse un po’ complicato. Infatti, ciascuno di noi ha una propria sensibilità che ci spinge a riflessioni diverse (per fortuna!).

Tuttavia, tutte quante condividono un medesimo anello di congiunzione: il proprio “Eccomi” a Dio, la donazione totale di ciò che si è, al suo servizio e quello dei fratelli.
Nella vita domenicana non ci si può formare da soli: non ci si può costruire come autentici uomini evangelici da soli; ciascuno è nella propria specificità prezioso ed arricchisce l’altro.

Tutto ciò è anche uno dei tratti più caratteristici della vocazione cristiana in generale, qualsiasi sia la modalità con la quale il Signore decida di attuarla: la nostra realizzazione e santificazione comporta sempre la presenza dell’altro, ossia la relazionalità.

Del resto, tutta la celebrazione eucaristica non è altro che un pronunciato dall’assemblea alla chiamata del nostro Dio: convocati dal Signore stesso, stiamo insieme e insieme ci nutriamo della Sua Parola e riceviamo il Suo Corpo e il Suo Sangue.

A questo proposito vorrei citare le parole della costituzione conciliare Lumen Gentium:
«Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità»1.

Nel nostro pellegrinaggio verso la Vera Patria alla quale il Signore ci chiama, Dio stesso vuole che ci aiutiamo continuamente e vicendevolmente, facendoci, ciascuno nel suo stato di vita, imitatori di Cristo, al fine di avvicinarci tutti al suo amore intramontabile.

Progredendo nel cammino della vita religiosa, bisogna imparare a custodire  continuamente e gelosamente il proprio rapporto con il Signore. Il rischio di cadere nell’automatismo, di intiepidirsi con il passare del tempo, è grande.

Coltivare il proprio sguardo per poter cogliere l’immenso valore che ogni singolo momento comporta in sé nella crescita umana, spirituale e vocazionale è fondamentale: non c’è spazio per l’abitudinarietà quando ci si rende conto che tutto è dono e grazia immeritata.

I ministeri del lettorato e dell’accolitato, conferiti a otto frati in formazione (quattro nuovi lettori e quattro nuovi accoliti) nella nostra Basilica di San Domenico in Bologna il 19 marzo scorso, non vanno intesi come fossero un semplice trofeo ottenuto in una qualche gara. Essi sono piuttosto delle modalità con cui la santa Madre Chiesa, nella persona dei nostri superiori immediati, accorda, in un certo senso, che la chiamata al sacerdozio del candidato sia ulteriormente vagliata, perché pare valida. D’altra parte, per chi riceve il ministero si tratta di assumere una disponibilità sempre più totale al servizio dei fratelli mediante lo zelo per le cose che riguardano Dio, anzitutto la Sua Parola e il Sacramento Eucaristico.

Non ci “si fa strada” da soli verso il sacerdozio. Il conferimento dei ministeri non è una semplice progressione personale; è un prendere atto, un prendere consapevolezza di una chiamata che, pian piano, si evolve e diventa nella propria storia personale una risposta nella gioia e nella fiducia in Dio.

La conferma che il Signore ci sta dando diventa un’occasione di immensa dilatazione del cuore, per fare spazio solo a Lui in un dono che con il passare del tempo sia veramente totale.

RIflettere sui ministeri del lettorato e dell’accolitato entra in perfetta sintonia anche con la solennità dell’Annunciazione da poco celebrata (sabato scorso): entrambi infatti sono legati intrinsecamente alla dimensione del servizio. Anche la Beata Vergine Maria, «umile e alta più che creatura»2, come scrive Dante, ha ricevuto una chiamata da Dio e non ha mai smesso di cantare in sé la sovrabbondanza della misericordia di Dio, che l’ha scelta per una missione così grande: dare al mondo il Salvatore, che continuamente ci nutre con la sua Parola e con l’Eucarestia.


1 Concilio Vaticano II, costituzione Lumen gentium, cap. II n. 9. Reperibile al link:https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-
gentium_it.html.

2 Cfr. Alighieri Dante, Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII.

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Sono nato a Medellín, in Colombia, cresciuto in una famiglia molto numerosa, dove imparai ad apprezzare la bellezza della vita prima di ogni altra cosa, nonostante le difficoltà. Sono andato via da casa molto giovane, mosso da una irrefrenabile curiosità per la vita. Dopo tante esperienze, all’età di 24 anni, nel mezzo di un buio esistenziale, ho avuto pensieri profondi intorno al fine ultimo e alla fede, dopo tante riflessioni, spinto da una chiamata sono entrato nell’Ordine mosso dal desiderio di amore infinito e di Verità. Ora sono a Bologna per studiare filosofia e teologia.