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Scrivo seduto nel giardino della casa dei miei genitori nella campagna torinese, eppure come mai prima d’ora mi sento un viaggiatore. Sono da poco rientrato da una vacanza durante la quale ho potuto visitare Fanjeaux, il piccolo villaggio della Francia Meridionale dove l’Ordine dei Predicatori ha mosso i suoi primi passi.

Sulla strada del ritorno ho pensato a san Domenico. Anche lui, un giorno, ha lasciato quel piccolo paese della Linguadoca. Anche lui, molto più di chi scrive, è stato un grande viaggiatore. Le più antiche cronache in nostro possesso sulla vita del santo fondatore testimoniano chiaramente come egli non abbia mai cessato di camminare fin dal giorno in cui lasciò il capitolo della Cattedrale di Osma al seguito del vescovo Diego. Parlando con Dio o di Dio, Domenico, come in una sorta di continuo pellegrinaggio, ha percorso le strade che lo hanno condotto nelle città più importanti dell’Europa: da Tolosa, passando per Roma, Madrid e Parigi, fino a Bologna.

Mi soffermo a riflettere sulle vicende di cui il nostro santo padre è stato protagonista in questa bella città emiliana. Anche io la raggiungerò tra pochi giorni. C’è una parola, meravigliosa e tremenda (dipende dai punti di vista) capace di accomunare la mia vita e quella di san Domenico a Bologna. E questa parola è morte.

Nell’antica Felsina, a pochi passi dall’umile cella dove il santo padre concluse la sua vita terrena, il prossimo 2 settembre prometterò di essere fedele a Cristo “fino alla morte”, emettendo nelle mani del priore provinciale la mia professione solenne nell’Ordine dei Predicatori.

In prossimità di questo momento tanto importante della mia vita mi è stato consigliato di rivolgermi al Signore con fiducia e senza timidezza per invocare quelle grazie che egli è solito concedere a larghe mani nel giorno in cui un suo figlio si consacra totalmente al suo servizio. Quasi come un bambino che prepara la celeberrima “letterina di Natale” ho iniziato a domandarmi: che cosa potrei chiedere? Di che cosa sento di avere davvero bisogno?

Non mi è servito molto tempo per comprendere che il dono più grande non ho bisogno di invocarlo, dal momento che è già ben presente in quell’espressione, “fino alla morte”, che tra pochi giorni sarò chiamato a pronunciare. Sono parte dell’Ordine dei Predicatori e lo sono per sempre. Il Signore ha donato alla mia vita un orientamento chiaro e definitivo. È questa, forse, una delle più belle testimonianze che la professione religiosa può offrire: impegnarsi con amore, per sempre e definitivamente è ancora oggi, con l’aiuto di Dio, possibile, bello, necessario.

Al Signore chiedo di donare ai miei passi sulla strada che lui ha tracciato per me gioia e perseveranza, ma prima di tutto desidero, in questo momento, pregarlo di far brillare la sua luce sopra tutti quegli uomini, tanti purtroppo, che ancora cercano la loro strada senza sapere cosa fare e soffrendo per questo brancolare nel buio che tanta compassione suscitò nell’animo di san Domenico fin dai più giovani anni della sua vita.

Fu proprio l’ardente carità che egli nutriva verso quanti erano tormentati dall’oscurità ad ispirare al nostro santo padre, quel lontano 15 agosto 1217, l’audace e ferma determinazione di non limitare la presenza dell’Ordine appena nato alla sola Linguadoca.

Attraverso la professione solenne anche io entro definitivamente nel novero di coloro che sull’esempio degli Apostoli e come grano fiorito perché disperso sono inviati in tutto il mondo a predicare il Vangelo di Cristo ad ogni creatura.

Bologna è quindi solo una tappa, per quanto decisiva, del viaggio che ho intrapreso. Ad oggi non mi è dato sapere dove esso mi condurrà e neppure quali insidie incontrerò sul mio cammino.  Tuttavia con la sicura compagnia di san Domenico posso percorrere con sicurezza i miei passi, dedicando ogni momento luminoso che mi sarà concesso a lavorare con passione nella vigna del Signore consapevole che le tante “pelli morte” che passeranno tra le mie mani per ragioni di studio e di apostolato avranno veramente senso solamente se sarò capace di utilizzarle a favore dei fratelli che ogni giorno rischiano di morire di fame flagellati da innumerevoli carestie, siano esse materiali, spirituali o morali. E quando le tenebre, di qualunque natura, scenderanno sulla mia strada, pensando al nostro fondatore, potrò ricordarmi come egli, al sopraggiungere del buio, si rivolgesse ogni giorno con invincibile fiducia al Signore nella preghiera.

Nessun viaggio, tuttavia, è un eterno vagare. Anche io, come ogni viandante, ho bisogno di una meta. Quale essa sia me lo suggerisce, tra l’altro, la data stessa in cui emetterò la mia professione solenne. Il 2 settembre di ogni anno l’Ordine Domenicano celebra la memoria liturgica del beato Guala da Bergamo. Non è una figura molto conosciuta eppure tanto cara per ogni frate predicatore. Il 6 agosto 1221, assorto in preghiera, egli vide un uomo salire su una scala verso il cielo e qui venire accolto dalla Vergine Maria e dal Signore Gesù Cristo. Quello stesso giorno san Domenico chiudeva gli occhi a questa terra. Sì, la nostra patria, la nostra meta è nei Cieli. Il nostro santo padre lo ha compreso molto bene e offrendo tutta la sua vita al Signore per la salvezza delle anime è giunto a destinazione. Tale meta egli non cessa di indicare ad ogni uomo e a noi suoi figli.

San Giovanni Bosco era solito ricordare ai suoi ragazzi come in Paradiso non si giunga in carrozza. Vorrei crescere in questa consapevolezza. Ma nello stesso tempo sento di poter ancora una volta mettere da parte ogni timore. Raccomandando ai suoi frati di perseverare nella carità, nell’umiltà, nella povertà e nella bellezza della castità san Domenico ci ha indicato la strada meglio di qualunque bussola.

Sostenuto da questa certezza che infonde vigore, in questo momento tanto significativo del mio viaggio, vorrei ancora una volta, insieme ai miei tanti fratelli domenicani di ieri e di oggi rivolgermi al nostro santo padre con le parole del beato Giordano di Sassonia implorandolo: “Sii per noi veramente Domenico, cioè un solerte custode del gregge del Signore. Custodisci, guida e correggi sempre noi che a te ci siamo affidati, e, una volta emendati, raccomandaci e presentaci con gioia, dopo questa vita terrena, al Signore benedetto, da te tanto amato, al figlio dell’Altissimo, Gesù Cristo nostro Salvatore. A lui solo spettano, assieme alla gloriosa Vergine Maria e a tutta la schiera dei beati, onore, lode e gloria nei secoli dei secoli, per l’eternità. Amen”.

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Fr. Alessandro Amprino, secondo i documenti proviene da Torino, città dove è nato l’8 aprile 1991. Tuttavia, coloro che lo conoscono meglio sanno che preferisce definirsi originario di Cumiana, piccolo paese del Piemonte apprezzato nel corso dei secoli dai tanti forestieri che soggiornandovi vi hanno trovato “buon’aria, buon vino e gente umana”. Nell’ottobre 2012 inizia il suo cammino di formazione alla vita religiosa e sacerdotale sulle orme di san Domenico. Studente di teologia, si interessa in modo particolare di Liturgia. Il 1 giugno 2019 è stato ordinato Sacerdote. Consapevole che la Sapienza è un lauto banchetto imbandito da Dio per il suo popolo ha servito tra i banchi della scuola media Sant'Alberto Magno di Bologna come docente di Religione.