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«Strumento di metallo, generalmente di bronzo, a forma di tazza rovesciata, che vibra e dà suono quando è percosso, in prossimità dell’orlo inferiore, da un batacchio (o battaglio) interno o da un martello esterno»1.

Ecco la prima definizione dell’enciclopedia Treccani della campana!

Esaltata da malinconici poeti al rimembrar il paesello natio, odiata da chi vive vicino al campanile e vorrebbe dormire un po’ più a lungo la domenica mattina, ma soprattutto fedele strumento che segna le ore e accompagna le più disparate funzioni religiose.

Si dice difatti: suonan da festa, suonan da morto, tre volte al giorno suonano l’Angelus (comunemente l’Ave Maria), suonano per un matrimonio o per la morte di Cristo o per la consacrazione, suonano i vesperi o i terzi o le quarantore; suonano a distesa, il colpo piccolo, il botto (almeno in Triveneto); qui in Emilia si suonano i doppi coi campanari che manovrano agilmente i sacri bronzi sui campanili (spesso letteralmente inerpicati su incastellature impressionanti!); in Lombardia e nel Veronese vanno a bicchiere e, seppure in modi diversi, formano, col ricadere nella loro posizione originaria, ingegnose melodie.

In Trentino si percuotono a battagli (o batacchi) legati da corde in modo da formar musiche dette campanò e ogni paese ha la sua melodia tradizionale per la feste grandi e la sagra, insieme con grandi suonate a stormo.

C’è poi il glas romain valdostano per accompagnare i defunti e la scampanottata bellunese o friulana per rimarcare le feste.

Ogni campana ha una nota principale di riferimento2, dunque suonate assieme formano accordi: maggiori (lieti) e minori (più tristi), l’accordo Te Deum (do- mi bemolle- fa), l’accordo Salve Regina (do- mi- sol-la) o anche il Plenum (tutte le campane simultaneamente).

Da qualche parte le campane suonano a slancio, magari a rintocchi contati (come in Alto Adige dove si legano i battagli al dorso interno della campana, oggi in maniera elettrica); altrove a batacchio cadente come in buona parte del Veneto, altrove sono fisse; alcune volte son meste, altre disordinate, capita anche che taluni concerti per l’ingiuria del tempo siano ormai stonati…

Possono essere di varie sagome, sovente decorate con incisioni, di vari fonditori (l’Italia vanta una lunghissima storia di fonderie campanarie) e di varie epoche. In Occidente si diffusero forse già a partire dal V secolo, se si dà credito alla versione per cui il santo vescovo Paolino da Nola avrebbe incentivato l’impiego liturgico dei bronzei vasa campana (vasi della Campania, campani), o forse si deve attendere, come parrebbe dalle testimonianze archeologiche, il VII secolo.

In tanta varietà, i nostri campanili punteggiano il nostro paesaggio, quasi sentinelle che elevano il nostro pensiero al cielo e, scandendo le ore (a volte anche i quarti e le mezz’ore!) ci ricorda che il tempo è dono di Dio e che vale davvero quand’è vissuto nella sua grazia.

Le campane difatti vengono a tutt’oggi benedette e incensate e dedicate: un tempo addirittura si ungevano più volte coll’olio degli infermi e poi anche col sacro crisma, l’olio profumato delle consacrazioni. Infine venivano riempite del fumo d’incenso e timo esalato da un braciere ardente collocato sotto la stessa campana.

Le nostre campane rimarranno silenti dal Gloria della Messa in Coena Domini del giovedì santo sera, al Gloria trionfale della Veglia Pasquale, nella notte tra sabato santo e domenica. Taceranno anche campanelle e tintinnaboli nelle nostre sagrestie, quasi a sottolineare, privandoci di un segno tanto comune da esser “scontato”, l’immensa drammaticità di quei santissimi giorni e la gioia infinita dell’annuncio di Pasqua che non tarderà a risuonare potente.

Fino a qualche decennio fa, quando prima della riforma di Pio XII (approvata ad experimentum nel 1951 e in via definitiva cinque anni più tardi) le celebrazioni del Triduo Pasquale si officiavano al mattino e dunque la Veglia Pasquale occupava la mattina del Sabato Santo, a Roma per convenzione tutte le campane annunciavano la risurrezione di Cristo alle 10. Pensate che tripudio di bronzi!

Ma ancora… non si contano i modi di dire che prendono in cause le campane, per secoli orologio dei poveri (anche civile: si pensi alla campana che chiamava gli scolari in tante nostre campagne fino agli anni Sessanta) e segno d’allarme (le famose campane a martello preannunzianti grandine e incendi).

Si dice sordo come una campana, per il gran ronzio (di orecchie e di viscere) che uno sente quando si trova magari in cella campanaria sul campanile e attacca a suonare la campana maggiore e non si sente più alcun altra voce; stonato come una campana, perché quando son fesse diventano davvero sgradevoli, oppure quando non sono ben intonate alle altre presenti sul campanile si notano subito, per quanto impercettibile sia il loro difetto…

C’è poi la campana di vetro, magari per custodire esperimenti preziosi o lacerti di vita assai fragili, sperando di non imporre inutili campane di vetro a nessuno…

C’è poi chi ripete le cose a campana, senza passione e tutte d’un fiato; chi vuol sentire tutte e due le campane, magari nella speranza che tra i due litiganti il terzo goda…

Un tempo si faceva a gara a costruire il campanile più alto e più ben fornito di sacri bronzi (ecco il famoso campanilismo…): oggi, d’accordo, son cose passate e che suscitano più che altro ilarità. Occorre, piuttosto, passare dai campanili – che talvolta a detta di alcuni rischian di dar più fastidio che aiuto – ai campanelli: beh, sempre di campane si tratta, più o meno!

Perdonate se mi permetto un po’ di leggerezza, non vi suoni, cari lettori, come irriverenza.

Una cosa però non passa, sia che si suonino campane dei campanili che campane dei campanelli: dobbiamo tutti stare in campana, e far nostre le accorate parole di sant’Agostino d’Ippona che confidava: Timeo Dominum transeuntem3. Temo che il Signore passi nelle mie giornate, senza che io me ne accorga.

Sia questa l’autentica eredità che le nostre campane ci lasciano: andare incontro ai fratelli con tutti gli strumenti di evangelizzazione immaginabili (e la fantasia di Dio è davvero immensa! Cerchiamo almeno di tenergli dietro un pochino…) perché possano essere radunati nell’ovile di Cristo a formare una sola famiglia; perché tutti conoscano, con l’Apostolo Paolo, che: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba!»4

Che si riferisse anche lui a qualche strumento antesignano delle campane?

2 Poi, ciascun sacro bronzo, a seconda della qualità e delle dimensioni, genera tutta una armonia di altre note “secondarie” vibrando.

3 Cfr. S. Agostino, Sermo LXXXVIII.

4 1Cor 13,1: è l’incipit dell’inno alla carità; brano che merita davvero di essere sempre custodito nel cuore.

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Nato tra le maestose giogaie trentine nel maggio 1996, cresciuto tra i boschi e campi di un grazioso paesino dell’alta Valsugana (sì, quella della canzone degli alpini…), dopo la maturità scientifica, indeciso se entrare in seminario diocesano, si orienta infine alla vita claustrale delle bianche lane. Ha emesso professione semplice nel settembre 2019 e attende ai filosofici studi.