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Quando accumulare ricchezze non basta più, ecco un’altra tentazione antichissima e attuale: quella di defraudare il povero. Nell’episodio biblico della vigna di Nabot, raccontato nel primo libro dei re, il re Acab, perde addirittura il sonno per il rifiuto del suo vicino Nabot di cedergli la sua vigna.

Questa tentazione doveva essere vivissima, ai tempi in cui Sant’Ambrogio, nel IV secolo, riprende l’episodio biblico per denunciare l’ingordigia e l’avarizia dei potenti dell’epoca, soprattutto per il modo in cui negavano la dignità della persona umana e alimentavano un uso insano della ricchezza. «Non sai, o uomo, come collocare le tue ricchezze? – scrive Ambrogio – Se vuoi essere ricco sii povero secondo il mondo, affinché tu sia ricco per Dio».

Acab, sottolinea Ambrogio nella sua rilettura del testo ripubblicato dalle edizioni San Paolo nella collana Vetera sed nova, prima umilia Nabot proponendogli di dargli un’altra vigna, in cambio della sua. In questo modo: “il ricco disprezza come è vile ciò che è suo”, mentre: “ciò che è di un altro lo desidera come bene preziosissimo”. Poi rilancia con un’offerta in denaro: “Colui che desidera richiudere tutto nei suoi possedimenti – scrive Ambrogio – non vuole che sia un altro a possedere”. Nella sua scompostezza Acab rivela il suo progetto: chiede a Nabot di cedere l’eredità dei suoi padri per farne: “un orto di verdure”.

Un episodio che, attualizzato, spinge Ambrogio ad una durissima requisitoria: “Avete maggior desiderio degli avanzi del povero che del vostro profitto”. Un desiderio che spinge Acab a disprezzare il suo stesso pane e sua moglie, Gezabele, ad orchestrare un complotto che trova facilmente volenterosi complici: accusare falsamente Nabot per farlo lapidare e rimuovere così ogni ostacolo alla presa di possesso di quel piccolo fazzoletto di terra. Il digiuno di Acab non è un digiuno buono, non è quello, quello che il Signore chiede all’uomo nel libro di Isaia, ma un terreno oscuro in cui invece del seme buono, germina la zizzania.

Le false accuse, come quelle contro Susanna, sono il frutto avvelenato di quel seme. Questa volta non c’è un Daniele che giunge a smontare le accuse. Nabot muore sotto i colpi delle pietre, ma soprattutto sotto i colpi della cupidigia di Acab, il quale dopo aver manifestato un ipocrita lutto, può finalmente prendere possesso della vigna.

Lo sforzo parenetico, ossia di esortazione e di avvertimento da parte Ambrogio sta nell’invito rivolto ai potenti del suo tempo a non essere come Acab, a tenersi alla larga da Gezabele, ossia dal volto dell’avarizia che apre le porte del cuore ai sentimenti più oscuri.

Ambrogio, invece, chiede misericordia per il povero e l’umile, a cui non solo non si puo’ negare, ma nemmeno procrastinare il dovuto. E non si tratta di elemosina, sostiene Ambrogio, si tratta di giustizia: “Non regali nulla – scrive – restituisci il dovuto” e poi citando Siracide intima: “Rivolgi la tua anima al povero, restituisci il tuo debito e ricambia opere di pace con benevolenza”.

In questo modo si può seguire l’insegnamento di Ambrogio che è quello di essere poveri per il mondo per poter essere ricchi per Dio. Si tratta di una chiamata, oggi più che mai universale e sempre attuale poiché come rifletteva Ambrogio ieri, ma anche per l’oggi “Non nacque un solo Acab, ma, quel che è peggio, ogni giorno Acab nasce e in questo mondo giammai muore. Non solo Nabot fu ucciso. Ogni giorno Nabot è umiliato. Ogni giorno è calpestato”.

Ambrogio, Il prepotente e il povero, Ed. Paoline, collana Vetera sed nova, 2013, pp. 120, 9,90 Euro (disponibile anche e-book 4,90 Euro).

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Frate domenicano, appassionato di San Tommaso e San Paolo e di troppe altre cose. Serio ma non troppo. Mi piacciono i libri, i gatti e imparare da quelli che sanno più di me. Per contattare l'autore: fr.giovanni@osservatoredomenicano.it