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La definizione teologica esistenzialmente più rilevante sul predicatore di Nazareth è stata ben colta da un sapido pastore bolognese: “Gesù Cristo è uno che non si può schivare” [Card. Giacomo Biffi, Sguardi su Gesù in Spiragli su Gesù, esd, Bologna 2017, p. 13]; il che, in effetti, è consolante per coloro che da circa duemila anni si dicono suoi discepoli nella speranza paolina di poterLo vedere faccia a faccia

Possiamo immaginare che lo sia un po’ meno per quanti si sono ingegnati fantasiosamente (quanto oziosamente) a dimostrarne l’inesistenza. Figuriamoci le loro facce: se avessero ragione, dopo tutto il mondo sarebbe soltanto quella loro deludente poltiglia brulicante di atomi che insegnano e “la vita vista razionalmente e senza illusioni” non sarebbe altro che “una storia di nonsenso raccontata da un matematico idiota” [Martin Gardner, Introduzione a The Annotated Alice in Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, bur, Milano 2016, p. 19].

Pensiamo le conseguenze etiche: tutte le ingiustizie non sarebbero pagate, tutte le giustizie non riceverebbero premio alcuno, nessuna colpa sarebbe perdonata, nondimeno tutti godrebbero della beffarda consolazione dell’oblio: tutti ultimamente uguali perché tutti ultimamente nulla. I più encomiabili (se si possono dire veramente tali, mancando un giudice definitivo) potrebbero tutt’al più fregiarsi di severe statue marmoree regalate all’audacia aeronautica dei piccioni (data l’indulgenza che i comuni nutrono verso quest’ultimi).

Se, invece, avessero torto, la situazione avrebbe un che di comico nel cogliere uno spettro di raccapricciata sorpresa in quegl’occhi sgusciati come uova: “Ma, ma… ma quindi tu esisti…”. Sarà giorno da capo giro, quel giorno! Non solo, oltre al danno vi sarebbe anche la beffa più clamorosa: per chi rifiuta il Cristo, la vita non cessa di essere una storia di eterno non senso scritta da un matematico idiota, anzi lo rimane per sempre, così come forse l’avrebbe scritta quel tale di nome Lucifero, i cui lumi, però, si sono spenti ‘secoli’ or sono fra l’indice e il pollice del suo umido orgoglio.

Ma non è per vedere una simile espressione che l’Altissimo Si è fatto carne, tratteggiandoSi lineamenti tangibili, Egli, infatti, “è un Dio «salvatore», che ha come fondamentale caratteristica del suo «temperamento» la misericordia” [Card. Giacomo Biffi, Lettura cristiana del libro di Giona in Spiragli su Gesù, esd, Bologna 2017, p. 77]. Qui si trova la seconda definizione del Cardinale Biffi e in questo senso è stata molto acuta la scelta dell’editore di raccogliere le tre conferenze insieme, perché verrebbe immediato pensare che il Volto con cui si affaccia il Dio dell’Antico Testamento (libro di Giona) sia quello del Padre; invece con questa scelta pare sia il Figlio, venuto a rivelarci il Padre che, in effetti, doveva essere sconosciuto a Israele perché fosse necessaria una rivelazione (come ci ha insegnato un nostro teologo e confratello, p. Marco Salvioli op).

Italian Cardinal Giacomo Biffi
Card. Giacomo Biffi, CNS photo/Paolo Cocco, Reuters

Ciò che ne deriva è sorprendente: se il Cristo è primariamente qualcuno che non può essere schivato ed è Misericordia, Egli è una Misericordia che non si può evitare di incontrare. Non credo che vi possa essere consolazione più grande, perché questo è il significato ultimo della Sua Persona: “Non si risponde adeguatamente: «Chi è Gesù?» se non si comincia a parlare della «salvezza»”. Del resto “il suo è […] un nome «profetico», che vuole designare la sua missione e in qualche modo la sua «natura», e ha come contenuto specifico l’affermazione della salvezza donataci da Dio. Gesù (ebr. Jehoshua) significa appunto: «Jahvè salva»” [Card. Giacomo Biffi, Sguardi su Gesù in Spiragli su Gesù, esd, Bologna 2017, p. 28.29].

Eppure è qui il nodo cruciale, l’aspetto più ardito della Sua figura: Egli non è un nobile saggio che ci insegna come salvarci da soli [Ivi, p. 27], né lo scopritore di un’arcana ricetta di felicità, ottenuta la quale si possa fare a meno di Lui. Cristo è, sì, Profeta, ma anzitutto la Stessa Profezia. Il cristianesimo non è, quindi, un modo per vivere eticamente la propria vita, ma è la Vita Stessa: il cristianesimo è Grazia e la storia di un cristiano è primariamente la storia di un graziato.

Ciò implica fare i conti con la grande e sola inimicizia che vi è fra l’uomo e Dio: l’orgoglio, quel vizio che non può accettare d’essere un salvato e non il salvatore. Tuttavia ci inganna, facendoci credere che, così, il Cristo ci lasci passivi nella Sua Salvezza, quando, invece, il battesimo ci fa, per Grazia, uguali a Lui e quindi salvatori (in effetti, a ben pensarci, la superbia è un’ingegnosa e raffinata forma di stupidità).

Allora la definizione biffiana di Cristo assume un significato nuovo tanto per i non credenti, quanto per i credenti: la possibilità, anzi la certezza dell’incontro con Lui nel nostro presente non rimane più una beffardia al confine fra promessa e minaccia, ma l’occasione di rendere sensata e redenta ogni cellula della propria vita. Ed ecco l’ultima definizione di Cristo che prenderemo in esame: “E quando lo si incontra, dopo non si è più come prima” [Card. Giacomo Biffi, Sguardi su Gesù in Spiragli su Gesù, esd, Bologna 2017, p. 13].

Questo cambiamento radicale del Dio-uomo non è solo una novità rispetto a tutte le rivoluzioni umane che incontriamo nella storia (a differenza delle quali il Signore non si propone di sostituire la realtà, ma di redimerla, che è ben diverso), al contrario costituisce anche un termine essenziale di verifica. La vera riprova che Cristo è Dio, è il Suo far nuove tutte le cose (“E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” Ap 21, 5). Così, la riprova che Cristo è Dio della nostra vita, è l’evidenza ineludibile che, da quando Lo abbiamo incontrato, tutto è nuovo. Da ciò sapremo se siamo davvero cristiani.

Card. Giacomo Biffi, Sguardi su Gesù in Spiragli su Gesù, ESD, Bologna 2017; p. 120; euro 12.

 

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Chi sono? In verità non ne so molto più di voi. Del resto, vivo anche per scoprirlo. Ma giustamente chi legge questo genere di presentazioni, si attende una sfagiolata di dati anagrafici. Essia! Sono nato all’Ospedale Maggiore di Bologna quel glorioso 9 settembre del 1994 (glorioso per ovvie ragioni). Chi non mi ha mai veduto senza barba, ipotizza che mi trassero dal ventre di mia madre proprio tirandomi dalla barba… inquietante, ma non smentirò questa leggenda. Frattanto in questi 25 anni di vita ho frequentato il liceo scientifico Malpighi, mi sono appassionato a Tolkien, alla Filosofia, alla Poesia medioevale e novecentesca, infine alla cinematografia, su cui amo diffondermi in raccolte meditazioni crepuscolari. Cosa ho compreso saldamente? Ad una sola vita, un solo modo per viverla. Per questo appena conseguita la maggiore età, ho fatto domanda di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori. Attualmente mi nutro di studi di San Tommaso, di spiritualità e di metafisica (sto affrontando un densissimo filosofo Polacco, Przywara … la pronunciabilità del nome è direttamente proporzionale alla sua chiarezza). Per contattare l'autore: fr.pietro@osservatoredomenicano.it