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Viviamo nel peccato. Così immersi in esso da non vederlo più, da non sentirne più l’odore. Vivendo nella mediocrità, ci adeguiamo ad essa: in fondo, va bene tutto. “Che male c’è?”, ogni cosa trova in quest’interrogativa la sua giustificazione: “Che male c’è?”. Alla fine, il male sparisce dal nostro orizzonte, scompare dalla nostra vista. Ma questo non significa che esso sparisca davvero: solo, non vogliamo vederlo; almeno fino a che non siamo costretti a vederlo. E tuttavia abbiamo il cuore indurito. Talmente indurito che, anche se “costretti” a vederlo, anche allora, rifiutiamo di riconoscerlo come tale. Ci strazia, ci colpisce, ci lascia a terra feriti, eppure ancora non vogliamo riconoscerlo, non vogliamo chiamarlo con il suo nome, pur sapendo benissimo che cosa vuol dire chiamare le cose con il loro nome: vuole dire riconoscere la verità; vuole dire che non c’è più posto per la menzogna. Il contrario della verità è la falsità, la menzogna, la quale è come una crepa in un muro. All’inizio, è quasi invisibile. Poi si allarga, un po’ alla volta. Ci siamo intanto abituati a vederla, poi, non ci facciamo più caso. Sparisce. Un giorno, il muro cade e, indovinate, la crepa non c’è più! Che fine ha fatto, allora, la verità?

Chiamare qualcosa con il suo nome è il primo passo, ma per farlo bisogna prima riconoscerla e riconoscerci. Ecco perché, per quanto possa sembrare a prima svista qualcosa di polveroso e anacronistico, può essere utile riproporre un utile esercizio che è l’esame di coscienza. Un prezioso volumetto, “Esame di coscienza pratico”, scritto dal Cardinale e Arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, aiuta a trovare uno sguardo nuovo su di sé e gli altri, uno sguardo di misericordia e di verità. Ed è per questo che, come consiglia il cardinale Siri, questo sguardo deve diventare un habitus, che richiede una regolarità e dei tempi.

Il libro suggerisce degli schemi di esercizi spirituali adatti ad ogni necessità e a ogni condizione: partendo dall’importanza della famiglia, che è al cuore della società e della Chiesa, e arrivando al fondamentale tema dello scopo ultimo della nostra vita, il cardinale Siri mostra lo stretto legame che intercorre fra il magistero e la dottrina della Chiesa e la nostra vita reale e concreta di tutti i giorni. L’esame di coscienza ci aiuta a “fare verità” su di noi, a capire dove cadiamo più spesso, ad avere uno sguardo di misericordia (ma non di accondiscendenza o di complicità) sulle nostre ferite e su quelle del prossimo. L’esame di coscienza è un elemento indispensabile per la vita spirituale: ci mette di fronte a delle domande che non possiamo eludere, che hanno la capacità di illuminare anche gli angoli più oscuri dell’anima, perché aiuta a portare ad un livello di consapevolezza tanti comportamenti che, in realtà, tendono a restare sottotraccia.

Nell’esame di coscienza quotidiano, preferibilmente da compiersi alla sera, riusciamo sì a vedere il dettaglio, il fatto specifico, ma non solo: quanto più allarghiamo lo sguardo, tanto più riusciamo a scorgere quelle che sono le nostre difficoltà prevalenti, ciò che più spesso ci fa cadere. Sarebbe sbagliato però, avverte il cardinale Siri, pensare che l’esame di coscienza serva solo a vedere il male, perché in realtà serve anche a vedere i frutti del nostro lavoro spirituale, a capire se stiamo andando avanti. Da poco il Santo Padre, papa Francesco, ha ricordato con la esortazione apostolica “Gaudete et exultate” quanto sia universale la chiamata alla santità, che il Cardinale Siri descrive come «perfetta e costante adesione a Dio colla Fede, nonché volontà pienamente e attivamente uniformata alla volontà di Dio».

Ecco perché il cardinale Siri insiste in maniera così forte sull’idea di peccato, che, lungi dal significare una visione antropologica negativa e accusatoria, punta, in realtà, a valorizzare la dignità umana, insozzata dal peccato, e l’importanza della vita, dono immenso e non evento casuale, privo di senso e di valore. E per quanto la parola di Verità possa essere, alle volte, dura ad ascoltarsi, essa è la sola di vita eterna, anche quando ci mette in crisi, quando parla del peccato, della necessità di essere fedeli anche nelle piccole cose, poiché è dalle piccole cose che si comincia a perdere, o a guadagnare, il senso di quelle fondamentali. Ecco ancora il cardinale Siri: «Particolari apparentemente ridotti vengono disattesi contando sul fatto che col tempo operano cambiamenti profondi e deteriori […] L’ambiente viene creato con una lunga anestesia».

Ecco perché l’esame di coscienza proposto dal Cardinale Siri è molto di più che un semplice inventario dei peccati, un’indagine da svolgere in maniera formalistica, giusto per evitare di arrivare al confessionale senza aver nulla da dire: è un’opera di verità, ed è la Verità che rende liberi, mentre la menzogna, l’orgoglio, il peccato, legano. È l’occasione per riflettere sull’amore, quello vero, che non è l’infatuazione o il legame che più serve a soddisfare i nostri bisogni, ma dono di sé, di rispetto della dignità propria e altrui. Consente di vedere le insidie che sono sul nostro cammino. Di fronte a queste insidie occorre essere vigilanti e umili, ma, soprattutto, rimanere in cammino.

Esame di coscienza pratico, Cardinale Giuseppe Siri, Edizioni Fede & Cultura 2015, pagg. 93, 10 euro.

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Frate domenicano, appassionato di San Tommaso e San Paolo e di troppe altre cose. Serio ma non troppo. Mi piacciono i libri, i gatti e imparare da quelli che sanno più di me. Per contattare l'autore: fr.giovanni@osservatoredomenicano.it