Se è vero che l’albero, come insegna il Signore, si riconosce dai frutti, è anche vero che un frutto può essere conosciuto meglio dall’albero su cui è maturato. In questo senso L’eredità dei Santi Padri. Cassiano e i Domenicani, il volume appena pubblicato dalle Edizioni Studio Domenicano, e curato da padre Gianni Festa, storico e Postulatore generale dell’Ordine per le Cause dei Santi, ha il pregio di mostrare la linfa che ha nutrito l’albero su cui sono maturati frutti come san Domenico e l’Ordine da egli fondato.
A pochi mesi dall’anno giubilare in cui si ricorderanno gli 800 anni dalla morte del santo, è certamente opportuno rinfrescare la memoria ai domenicani di oggi e, chi lo sa, presentare a quelli di domani, una delle fonti della spiritualità dell’Ordine. Il tutto nell’ottica di uno sguardo alle origini che non si riduca ad essere un mero archeologismo storico o spirituale, ma che, invece, sia foriero di nuove ispirazioni e, magari, di nuove vocazioni.
È abbastanza noto come il giovane canonico di Osma, Domenico di Caleruega, avesse un particolare affetto per le Istituzioni cenobitiche di Giovanni Cassiano. Si tratta di uno scritto in cui l’autore, attraverso una via concreta ed esperienziale, più che il ricorso a modelli teorici, si propone di riformare il monachesimo occidentale, alla luce dell’Oriente cristiano e a figure come Basilio ed Evagrio Pontico.
Quella di Domenico non fu solo un’affezione personale, come dimostrano i volgarizzamenti, ossia le traduzioni in volgare, che si sono susseguiti nel corso dei secoli, segno evidente che le Istituzioni continuavano ad alimentare la spiritualità di quanti, soprattutto religiosi, si sentivano in continuità con il mondo del monachesimo che, all’albore della Chiesa nascente, era stato l’archetipo della Sequela Christi. In maniera carsica, ciò che aveva spiritualmente nutrito i Padri del deserto e i primi monaci cenobitici finisce per essere contemplato e trasmesso nella predicazione da generazioni di frati domenicani: da quelli dei primi anni come Giordano di Sassonia, Umberto de Romans, e Gerardo di Frachet, autore delle Vitae Fratrum, a Jacopo di Varazze, Giovanni Taulero e al suo maestro Meister Eckhart e quelli che, anche nei secoli successivi, cercarono in queste pagine un exemplum e uno speculum per confrontare la loro vita religiosa con quella dei protomonaci e dei Padri del deserto, non solo per il discernimento personale, ma anche per la missione pastorale e di evangelizzazione e, non ultimo, per il suo uso apologetico.
L’opera di volgarizzamento, ossia la traduzione in volgare compiuta dal domenicano Domenico Cavalca, risponde proprio all’uso esemplare e pastorale di quest’opera. Allo stesso modo, si parva licet, l’opera di padre Festa ha il duplice merito di ripresentare un testo che, dal punto di vista spirituale, ha detto molto e ha molto da dire anche all’uomo contemporaneo e, al contempo, approfondire un aspetto molto interessante della storia dell’Ordine fondato da san Domenico e della tradizione monastica di cui reca ancora alcuni visibili segni «ritrovando in essa, – annota il padre Festa nella sua introduzione – se non le radici della propria identità o i presupposti di una fondazione della propria autorappresentazione, almeno il richiamo ad un modello di vita religiosa ritenuto altamente evangelico…»1.
1 Gianni Festa, L’eredità dei Santi Padri. Cassiano e i Domenicani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2020, p. XXXII.
Riconoscimenti per le immagini: per la copertina, “Icona di San Cassiano”, anonimo.