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Niente è meglio di un prequel

Il libro di cui vorrei parlarvi non è un saggio o un’opera accademica, ma un umile romanzo. Non una di quelle pietre angolari della letteratura mondiale, né di quei tomi che sembrano pensati apposta per diventarlo, ma solo una storia che tenta d’insegnare qualcosa. Proprio come una medicina viene presa più volentieri se dolce, così l’uomo accoglie meglio una verità se essa è inserita in un racconto; e ciò accade non perché vi sia maggiore chiarezza o precisione in esso rispetto ad una spiegazione accademica, ma perché lo sforzo necessario ad agguantarla fa sì che quella verità sia nostra e non imposta dall’esterno. Silvana De Mari, come tutti i grandi narratori del fantastico, ha ben chiara questa realtà, tanto che i suoi racconti posseggono quella forza comunicativa e quella saggezza che spesso crediamo limitata agli antichi miti ed alle parabole.

Il testo in questione è “Arduin il Rinnegato”, edito nel 2017 per le Edizioni Ares e prequel della fortunata “Saga degli Ultimi”. Chi scrive non ha letto i restanti capitoli della serie, per cui questo commento coglie il testo da un lato come opera a se stante, dall’altro come introduzione ad un universo narrativo ancora vago.

Per non fare rivelazioni indebite ed indesiderate mi limito solamente ad inquadrare la trama. Il connubio di umani, elfi e nani ha dato vita, ad occidente, ad una compagine politica solida e compatta, unita sotto lo stendardo di una comune cultura. All’avanzata civiltà così formata si contrappone l’impero degli orchi: questi hanno dato vita ad una nazione abituata a coprire la propria pochezza dietro la gloria della conquista. La loro cultura è fondata su di un assoluto dominio patriarcale e su di uno svilimento del valore intrinseco dell’individuo, sulla scorta di una vaga idea retributiva dell’aldilà.

Arduink, il protagonista, partecipa come bambino-soldato all’ultima guerra degli orchi, i quali, utilizzando una disumana strategia, sconfiggono finalmente i loro nemici e giungono alle porte della loro capitale. Egli però, staccatosi per caso dai suoi, entrerà gradualmente in contatto con quella civiltà che, nel momento della prova, anche gli stessi umani stanno tradendo e, compiendo un splendida sintesi, si trasformerà nel più grande eroe della loro storia.

Il bene ha uno e molti volti

Chi cercasse nel romanzo chiari riferimenti cristiani rimarrebbe deluso. In linea con grandi della narrativa come Tolkien, la De Mari fa lievitare il suo mondo immaginario con quella Verità che il lettore attento non può non riconoscere anche se privata dei suoi stemmi. Se quindi la cultura umana fa riferimento a quella cristiana, perlomeno nei valori, quella orchesca risuona di riferimenti all’islam. Non solo l’attenzione che l’autrice pone alla condizione delle donne, ma anche la stessa auto-disumanizzazione, cui i singoli orchi sono spinti dal sistema, rimandano al lato più oscuro di una civiltà musulmana, qui presentata quanto mai minacciosa. Il testo tuttavia evita ogni forma di appiattimento: non solo Arduink, pur nel suo mutamento interiore, non smetterà mai di essere un orco, ma molteplici semi di bene gli giungeranno dalla sua gente. D’altro canto, gli esseri umani vengono spesso rappresentati indegni della ricchezza valoriale di cui sono stati fatti portatori, schiavi di una paura e di una piccolezza che lanciano pesanti accuse al nostro ricco occidente.

Insomma, nel racconto la De Mari ci presenta il bene sotto due aspetti: in senso assoluto esso s’identifica con la Verità, morale e spirituale, di cui l’occidente si fa portatore; in senso personale tuttavia esso s’incarna nei singoli senza seguire rigide classificazioni etniche. La complessa vicenda di Arduink, che copre tutta la sua vita, parla quindi di un individuo che ha ricercato e trovato il Bene senza cedere a vuoti relativismi o commistioni, ma che ha saputo fondare la sua casa sulle solide fondamenta dei semi sparsi nella sua esistenza. Il romanzo quindi c’insegna che se è vero che tutti desiderano il Bene, è anche vero che ognuno inizia a bramarlo a partire dalle stupende tracce che esso lascia nelle nostre vite.

Uno stile biografico

Quest’opera della De Mari, come altre che ho avuto fra le mani, parla di persone, non di avvenimenti. L’autrice riesce a dare un taglio splendidamente biografico alla sua narrazione, al punto da riuscire a rendere personaggi immaginari e lontani vicinissimi al lettore. Tuttavia questo comporta un abbozzare solo vagamente il mondo circostante: nel testo in questione scordatevi i grandi affreschi del “Signore degli anelli” o le intricate maglie del mondo descritto da George R. R. Martin ne “Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Le terre che attraverserete saranno limitate dallo sguardo mentale del personaggio e, proprio come in un ricordo, verranno descritti con minuzia alcuni dettagli e completamente ignorati degli altri.

Inoltre, è giusto ammetterlo, la visione delle civiltà che il testo propone è lontana dalla sensibilità di molti: invece di proporre una sintesi culturale o una reciproca comprensione, la De Mari presenta il Bene come impermeabile ad aggiunte o sottrazioni, ma passabile solo di declinazioni. La cultura orchesca, sui cui rimandi non torno, non ha nulla di buono se non quei semi che il Bene vi ha lasciato, e che quindi sembrano non appartenerle.

Ciò detto, è mia opinione che sia proprio della verità scandalizzare molti non tanto a causa di ciò che afferma ma di quello che implicitamente nega.

Silvana De Mari, Arduin il rinnegato, Ares, 2017, pp. 480, Euro 19,00.

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Quando il Signore mi venne a cercare, la mia mente vagava confusa nei caldi spazi dell’inedia, talmente carica di nulla da non poter portare altro con sé. Il mio corpo invece si preparava ad un indefinito inverno nella città di Ancona, gioiello del medio Adriatico (si fa per dire). Nella patria del pesce e del “mosciolo”, per un leggiadro scherzo della Provvidenza, sono nato quasi trentadue anni fa con una sentita inimicizia fra me e qualunque carne marina. La chiamata del Signore mi vide studente in storia ed appassionato consumatore di storie: racconti di tutti i tipi e narrati da aedi di tutte le arti. Ora che lo Spirito mi ha indirizzato nella famiglia di San Domenico ho posto questo mio nulla nelle mani della Vergine Maria e del caro Castigliano e chiedo loro quotidianamente di mostrarmi in ogni storia, vera o immaginaria, la traccia del Divino che lì soggiace. Ora che sto a Bologna studio come studiando rendere omaggio a Dio. Per contattare l'autore: fr.giuseppe@osservatoredomenicano.it