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C’è più che la vita di un uomo di preghiera. C’è una vita diventata preghiera. Le lettere di don Andrea Santoro ci raccontano una storia di cui, al momento di aprire il libro che le raccoglie, conosciamo già il finale. Il finale non è stato scritto da don Andrea, ma dalla mano che gli ha puntato una pistola contro mentre pregava nella Chiesa di Santa Maria di Trabzon, una piccola città nell’estremo oriente della Turchia, sul Mar Nero. Ha premuto il grilletto. Le “Lettere dalla Turchia” sono come un ordito, intessuto con la Parola di Dio, con il silenzio, la preghiera, il sacrificio, la sofferenza, ma anche con la gioia, l’amicizia, la sincera aspirazione alla pace, il dono di sé, la missione, perché come cantava Ivano Fossati: «Se non c’è strada dentro il cuore dell’uomo, prima o poi si traccerà».

Le parole di Don Andrea sono state ripubblicate nel 2016 dalle Edizioni San Paolo, con la prefazione dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi e con l’aggiunta di otto lettere che erano rimaste inedite. Le sue lettere, che vanno dalla fine del maggio del 2000 al gennaio del 2006, poco prima della sua morte, parlano non solo di un uomo che ha ricevuto una vocazione nella vocazione, ossia quella di essere missionario fidei donum in una terra aspra e forte, come quella turca, ma di come l’esperienza della sequela di Cristo, al di là dei luoghi comuni e delle frasi fatte richieda, anzi imponga di essere pronti ad accogliere e abbracciare anche l’imprevisto e l’imprevedibile. Meno imprevista e imprevedibile, a volte, è l’incomprensione rispetto a questo tipo di chiamata, perché espone fatalmente ad essere profeti inermi e disarmati, spesso soli, ma non per questo abbandonati.

Tanti gli episodi, nel bene e nel male che fanno capire come ci si possa innamorare di una terra lontana come la Turchia e desiderare di partire, non per realizzare chissà quali imprese, ma per essere lì, in attesa di una voce che chieda a che punto è la notte, per accogliere, per pregare. Per quanto possa essere scura l’ombra nel cuore dell’uomo, don Andrea racconta delle piccole e grandi ostilità, degli insulti, di un’aggressione, della diffidenza e dell’ostilità di molti, non c’è luogo che non possa essere raggiunto dal Vangelo e dal desiderio di pace.

Per questo nel libro si incontrano tante persone, cristiane e musulmane, che sono passate a Trabzon o a Urfa, per cercare Dio, per avere delle risposte a domande sempre più urgenti nella loro vita, per condividere il pane e l’umanità ma anche per fare del male, per scaricare rabbia e odio su un uomo di pace. Allora perché andare in Turchia? Don Andrea lo spiega così, in una delle sue lettere: «Non per convertire appunto, ma per convertirsi, cambiando il nostro cuore e i nostri pensieri a contatto con le nostre radici cristiane e con un mondo che ha poco ma tanto nello stesso tempo».

Questa conversione impone il dialogo con l’altro, ma senza illusioni o ingenuità. Scriveva ancora don Andrea che ci sono due errori da evitare: «Pensare che non sia possibile la convivenza tra uomini di religione diversa oppure credere che sia possibile solo sottovalutando o accantonando i reali problemi, lasciando da parte i punti su cui lo stridio è più forte». Don Andrea ha voluto tenere aperta una finestra del dialogo e quella finestra si è trasformata in una ferita, ossia la finestra da cui passa la grazia.

Don Andrea Santoro, Lettere dalla Turchia, Edizioni San Paolo 2016, pp. 304, 15 euro.

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Frate domenicano, appassionato di San Tommaso e San Paolo e di troppe altre cose. Serio ma non troppo. Mi piacciono i libri, i gatti e imparare da quelli che sanno più di me. Per contattare l'autore: fr.giovanni@osservatoredomenicano.it