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Oltre al fascino caduco dei boschi variopinti, l’autunno porta ogni anno con sé un forte richiamo alla finitezza della nostra vita, richiamo profondamente avvertito e valorizzato dalla santa liturgia.

Tradizionalmente infatti, la Chiesa dedica il mese di novembre alla preghiera per i defunti.

Novembre si apre con la gioiosa solennità di Tutti i Santi, immediatamente seguita dalla Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

Per quei giorni, tombe e loculi in cui riposano le spoglie dei nostri cari vengono tirati a lucido e adornati con amore.

Il cimitero: dormitorio in cui si attende la Risurrezione

Per i cristiani, prendersi cura delle tombe non risponde solamente a quel moto umano di pietà tanto caro ai poeti classici1 o, con ulteriori motivazioni, al Foscolo dei Sepolcri2, ma esprime un autentico atto di fede nella vita eterna e nella comunione dei Santi.

Nei cimiteri – dal greco coimeterion (traslitterato) ossia luogo ove sono posti a giacere [i defunti] – i corpi dei nostri defunti aspettano la risurrezione dell’ultimo giorno, quando le anime si ricongiungeranno ai loro corpi risorti.

Non a caso, soprattutto nelle zone rurali, spesso le tombe sono orientate con la lapide rivolta nella direzione del sole nascente, nell’attesa che sorga il Sole di giustizia3, Cristo Signore.

Il cimitero, o camposanto in quanto terra benedetta, non è una necropoli (città dei morti), né semplicemente un mesto sepolcreto, bensì un luogo carico di promessa di vita, oltre che di ammonimento per noi ancora pellegrini sulla terra a vivere perennemente in amicizia con Dio.

Ben due delle tradizionali opere di misericordia, una corporale e una spirituale, sono legate ai defunti: seppellire i morti e pregare per loro.

Inoltre, essi possono intercedere presso Dio per noi, nella beatitudine infinita del Paradiso ma anche nello stato di purificazione del Purgatorio, ove espiano le anime dei defunti morte in grazia di Dio ma bisognose di scontare la pena temporale residua.

Il tesoro delle indulgenze

Nel Manuale delle indulgenze leggiamo per quanto riguarda l’ottava dei Santi:

“Si concede l’indulgenza plenaria, applicabile soltanto alle anime del Purgatorio, al fedele che, nei singoli giorni dal 1° all’8 novembre, devotamente visita il cimitero e prega, anche soltanto mentalmente, per i defunti. Nel giorno in cui si celebra la Commemorazione di tutti i fedeli defunti visita piamente una chiesa o un oratorio e vi recita un Padre nostro e un Credo”4.

Per lucrare l’indulgenza plenaria, oltre all’opera prescritta, occorre anche adempiere alle consuete condizioni: confessione sacramentale, comunione, preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (Pater, Ave, Gloria), esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale.

Con una sola confessione si possono lucrare più indulgenze, mentre con una sola comunione eucaristica e una sola preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice si può lucrare una sola indulgenza. È conveniente che comunione e preghiera secondo le intenzioni del Papa siano fatte le stesso giorno che si compie l’opera indulgenziata (es: la visita del cimitero). Si può lucrare una sola indulgenza plenaria al giorno5.

A proposito di preghiere per i defunti: qualcuno si ricorderà anche della defilata Pia dei Tolomei6 di dantesca memoria: lei, con garbo e delicatezza rimasti celebri, chiedeva al poeta fiorentino proprio suffragi per l’anima sua, perché potesse presto lasciare il Purgatorio per essere ammessa alla visione beata di Dio…

Aiutiamo i nostri defunti! Dimostriamo loro, nella comunione dei Santi, che il nostro affetto non è venuto meno servendoci dei molti tesori di grazia che la Chiesa mette a nostra disposizione nei prossimi giorni.

Le tre Messe del due novembre

Ogni sacerdote, dal bellicoso 1915, può celebrare tre Messe il 2 novembre: i tre formulari liturgici attualmente offerti dal Lezionario (libro liturgico delle letture) e dal Messale ci aiutano a vivere in profondità la Commemorazione dei fedeli defunti.

Ecco, in tanto tesoro, un brano desunto dal libro di Giobbe, il tribolato per eccellenza, che esclama:

“Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro”7.

Per noi, che veniamo dopo Cristo, queste parole sono ancor più chiare, perché siamo certi nella fede che si compiranno: se rimarremo fedeli a Dio fino alla fine non andremo perduti.

Un concetto che emerge molto chiaramente anche nella lettura tratta dal libro della Sapienza in cui è magnificata la sorte dei giusti, meravigliosamente indicati come scintille – quasi incontenibili faville di divina carità – che corrono qua e là nella stoppia:

“Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi,
la loro speranza è piena di immortalità.
Per una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé:
li ha saggiati come oro nel crogiuolo
e li ha graditi come un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno;
come scintille nella stoppia, correranno qua e là.
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli
e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell’amore,
perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti”8.

C’è un confronto a più riprese tra la prospettiva dello stolto e quella di coloro che vivono confidando in Dio. A questi ultimi sono riservati: pace, grandi benefici, vita, grazia, misericordia, perché Dio li ha trovati degni di sé dopo averli provati nel crogiuolo delle prove dell’esistenza terrena. Prove che allo stolto paiono castighi, soprattutto la morte, vista come massima sciagura e rovina. E invece, per chi confida in Dio è tutto l’opposto: le prove, le pene e la morte stessa diventano l’occasione per conoscere Cristo, entrare in intimità sempre più profonda e totale con Lui, fino a raggiungerlo nell’eternità!

Terribile invece la sorte degli empi: “Vana è la loro speranza e le loro fatiche inutili, le loro opere sono senza frutto”9.

I prefazi10 poi ci offrono le parole della sapienza millenaria della Chiesa:

“In Cristo […] rifulge a noi la speranza della beata risurrezione,
e se ci rattrista la certezza di dover morire,
ci consola la promessa dell’immortalità futura.
Ai tuoi fedeli o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata;
e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno,
viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”11.

Abbiamo qui ciò che più preme di fronte alla soglia apparentemente tenebrosa della morte: sapere cosa poter sperare per il “dopo”, sapere che fine faranno gli sforzi, le gioie, i legami, le angustie del cammino terreno.

Il testo fa leva su due parallelismi. Il primo “emotivo”: la certezza rattristante di dover morire in parallelo con la consolazione dell’immortalità in Cristo; l’altro “locativo”: mentre si distrugge la tenda di questa vita (il corpo), Cristo prepara per noi un’abitazione sicura in Cielo12.

Beato chi si addormenta tra le braccia del Padre

Cerchiamo di vivere con raccoglimento e riconoscenza, pur nell’inevitabile nostalgia di chi si è momentaneamente sottratto al nostro sguardo, i giorni che ci attendono, confidando nell’aiuto di Maria Santissima, che patì sotto la croce la morte del Figlio, quella morte che inflisse disfatta perpetua alla morte stessa13, la morte del nostro Redentore.

Ricordiamo con serena fiducia che sono “beati i morti che muoiono nel Signore: Sì – dice lo Spirito – essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono”14.

Preghiamo per loro e confidiamo nella loro intercessione per noi, perché possiamo giungere in patria, santi tra i santi, anche noi, nella pace infinita della gloriosa Trinità.


1 Per tutti, si pensi all’omerica Iliade, nei cui ultimi due libri sono meticolosamente descritti i funerali di Patroclo ed Ettore.

2 Per dirla in breve: i sepolcri, seppur inutili ai morti nella prospettiva materialista del Foscolo, assolvono ad una molteplice funzione per i vivi: mantengono un legame affettivo con chi non c’è più, sono testimonianze di storia della civiltà e spronano ad imitare le gesta dei grandi del passato, da cui attingere ispirazione e conforto, “tenuti in vita” dalla poesia e dalla memoria.

3 Cfr. Lc 1,78.

4 Cfr. Manuale delle Indulgenze, p. 91., 4a ed., trad. italiana, LEV 2003.

5 Cfr. Ivi, pp. 27ss.: norme sulle indulgenze.

6 Alighieri Dante, Divina Commedia, Purgatorio, canto V, 130-136.

7 Gb 19, 23-27.

8 Sap 3,1-9.

9 Sap, 3,11b.

10 Il prefazio, introdotto dal dialogo tra sacerdote e assemblea (Il Signore sia con voi…, In alto i nostri cuori…, Rendiamo grazie al Signore nostro Dio…) è la prima parte della preghiera eucaristica: si tratta di un testo in cui viene riassunto poeticamente il significato della ricorrenza liturgica celebrata.

11 Prefazio dei defunti I, Messale Romano, III ed. italiana, p. 406, LEV, Roma 2020.

12 Cfr. Gv 14,2 e anche 2Cor 5,1.

13 Cfr. “O morte sarò la tua morte, o inferno sarò la tua rovina”, antifona 1 dei Vespri del Sabato Santo, in Liturgia delle Ore vol. II, p. 458, LEV, Roma 1989, ristampa 2013.

14 Ap. 14,13.

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