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La festa istituita da papa Francesco, o piuttosto bisognerebbe dire da san Paolo VI, o piuttosto bisognerebbe dire da Gesù stesso, è tutt’altro che superficiale. Che cosa fa infatti lo Spirito Santo, il “festeggiato” della Pentecoste? Che cosa dice il Credo? Sì, d’accordo: “dà la vita”. Ma questo più che dire ciò che fa, dice ciò che è: “Dominum et vivificantem”. Deus diffusivum sui. Ma consideriamolo pure. Poi cosa dice il Credo? “Ha parlato per mezzo dei profeti”. Beh, questo è più ciò che “ha fatto”, ma va bene comunque. Dove voglio arrivare? Voglio dire questo: chi ha detto “Io sono la via, la verità e la vita”? Non aspetto nemmeno la risposta. E chi è la Parola? Chi è il Verbo? La risposta è sempre la stessa, ovviamente. Sì, lo Spirito Santo “dà la Vita”, ma la Vita è Gesù Cristo; sì, lo Spirito Santo dà la Parola, ispira i profeti, ma la Parola è Gesù Cristo.

Infatti ho volutamente dimenticato un passaggio del Credo. Che cosa fa lo Spirito Santo? “E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria”. Chi? Gesù Cristo. Ecco cosa fa lo Spirito Santo: opera l’Incarnazione. Questo sempre fa. Dire che dà la vita o che dà la parola è un modo diverso per dire sempre quest’unica cosa: lo Spirito Santo rende presente Gesù Cristo. E questo è geniale! La prima cosa dunque che fa la Pentecoste è ribadire la maternità di Maria. Come dice se non sbaglio san Bonaventura, Maria è, cosa assolutamente unica, assimilata al Padre in quanto genitore del Figlio! Maria è madre di Cristo più come relazione che come evento storico. Appunto: “è” Madre, non “fa” la Madre, magari solo per il tempo necessario a partorire. Per questo è enormemente conveniente l’Assunzione di Maria: un cadavere non può generare. E invece Maria continua ad essere la Madre di Cristo, come lo Spirito Santo continua ad operare l’Incarnazione, la sua generazione umana, e infatti il Verbo rimane incarnato, Cristo rimane uomo.

La seconda cosa che fa lo Spirito a Pentecoste è racchiudere in un’unica effusione Maria e gli apostoli, Maria e i discepoli, Maria e la Chiesa. Maria stessa è il membro più eminente della Chiesa, e la Chiesa stessa non esiste senza Maria. La vigilia di Pentecoste, in convento abbiamo detto il rosario meditando i misteri della gioia. Scelta apparentemente ingenua, dato che ci apprestavamo a celebrare un mistero della gloria. Invece è stata un’illuminazione, una cosa geniale. Infatti, tutto il vangelo dell’infanzia di Luca è costellato dalla presenza dello Spirito Santo: se vogliamo capire l’evento della Pentecoste, che è sempre Luca a raccontarci, dobbiamo leggere la sua opera fin dall’inizio. E proprio all’inizio troviamo un grande dipinto di cosa fa lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è presente nell’Annunciazione, nella Visitazione, implicitamente nella Nascita di Cristo, poi di nuovo esplicitamente nella Presentazione e infine accompagna il corso della vita di Cristo fino al nuovo apogeo del Battesimo di Cristo e dell’inizio del suo ministero pubblico. Ecco chiaramente, fin dai primi due capitoli della lunghissima opera lucana, che cosa fa lo Spirito Santo quando discende, quando “copre con la sua ombra”: rende presente Gesù Cristo, rende presente la Parola, la Vita, rende presente Lui nella natura umana, nella sua presenza vicina, intima, incarnata.

E questo fa anche a Pentecoste nei riguardi della Chiesa. Lo Spirito Santo discende sulla Chiesa, la anima, la infuoca, la riempie. Dove Maria è sempre la Madre, ma ora Maria è vista come, appunto, il membro più eccellente della Chiesa, in cui tutta la Chiesa si riconosce, e, soprattutto, la Chiesa stessa, cioè noi, veniamo associati a quell’unica maternità di Maria. Anche noi, dice sant’Ambrogio1, generiamo Cristo ogni volta che lo accogliamo in noi. Ma la Madre è sempre lei. Lei anche in noi. Lei con noi. E proprio per questo è anche Madre nostra: non solo perché così ha detto il Signore, ma anche perché senza di lei non abbiamo più nulla, non abbiamo la vita in noi (cfr. 1Gv 5,12), non esistiamo più.


1 Cfr. Ambrogio di Milano, Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 26.

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Lombardo, nato e cresciuto fra i rami del lago di Como, ha frequentato il liceo classico A. Volta di quella città, percorso comunicazione, dove ha imparato ad amare il greco – è un appassionato lettore dei vangeli nella loro forma originale – e le lingue in genere, non ultimo il proprio dialetto brianzolo. Ha poi recitato, all’età di 19 anni, il suo primo “Addio ai monti” per trasferirsi presso il Seminario ambrosiano di Seveso, ex convento domenicano e luogo in cui Carino da Balsamo col suo falcastro dava la morte a S. Pietro primo martire domenicano. Discernendo poi una chiamata più speciale, è entrato nell’Ordine dei predicatori. Ha emesso la sua prima professione religiosa il 3 settembre 2016. Baccelliere in filosofia, prosegue il suo studio della teologia. Per contattare l'autore: fr.stefano@osservatoredomenicano.it