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Alleluia! Pasqua, finalmente. Meta di una Quaresima memorabile. Commenti e analisi sulle settimane trascorse si sono rincorsi nei social e sul web. Si sono trasformati in conversazioni filtrate da mascherine in uscite autocertificate. Una Chiesa in streaming getta reti virtuali su chi è online per amore, per noia, per necessità. Per molti, la clausura forzata grida il valore e il desiderio di abbracci, sguardi, carezze, di parole dette dal vivo. Esodi di nostalgia, di dolore, di speranza riempiono cuori e intasano le comunicazioni.

Conserveremo nella memoria sensazioni comuni di portata globale. Custodiremo le istantanee di questa singolare esperienza capace di offrirci immagini eloquenti storicamente indelebili.

Pensiamo all’interminabile corteo notturno a fine marzo. Partito da Bergamo e diretto a Piacenza, composto da camion militari carichi di bare, carichi di vite che non sono più. Come il corteo funebre di Naim, la lenta fila di mezzi blindati avanzava incontro alla compassione di Gesù ancora commosso. Col suo tocco salvifico ha arrestato la morte. Il «non piangere» di speranza pasquale viene sussurrato da Dio alla fede di troppi cristiani segnati dal lutto, dalla preoccupazione, dal pessimismo.

La sera del Giovedì Santo, notte d’angustia, fede sudata di sangue, Cristo l’ha rivissuta in migliaia di contagiati annegati nell’isolamento degli istanti finali. Nei giorni santi di quest’anno, non è stato il Getzemani ad ospitare l’angoscia divina. È stato un letto anonimo in terapia intensiva. Il Cristo morto contemporaneo: immobile, intubato, lontano dai suoi.

Pensiamo al 27 marzo, al passo vacillante del Papa. Incede da solo in Piazza San Pietro, deserta. Appare desolata nella tenue oscurità di una sera qualunque ma resa straordinaria dalla preghiera mondiale.
La benedizione silenziosa all’orbe muto, impaurito e sconvolto. Biancore eucaristico, biancore delle vesti liturgiche e papali, biancore di Trasfigurazione, biancore di Risurrezione, biancore… dell’abito domenicano! È testimonianza sempre pasquale, segno di vita nuova, diversa. Riesce a distrarre la frenetica indifferenza abituale di quartieri e strade.

Un incontro particolare ha inaugurato il mio primo giorno quaresimale. Un ubriaco sedeva al tavolino esterno di un bar in una via centrale di Bologna. Mentre camminavo, lo sentivo strillare un monologo incomprensibile. Mi vide passargli di fronte, rapido biancore. Quando attendevo il semaforo verde, mi accorsi del suo tacere improvviso. Con voce rauca, aggiunse al soliloquio etilico un inciso inaspettato, enfatizzato dall’osservarmi silenzioso: Il Signore benedica noi, anime perse! Mi girai, mi fissava. Occhi giovani, lucidi e stanchi incontrarono i miei.

Anime perse, mi ripetevo. È davvero persa un’anima desiderosa di benedizione? Può Dio perderci di vista o dimenticare una creatura? Il Vangelo è sequenza ritmata di incontri di risurrezione, proposta rifiutata o vissuta. Persino nella ressa della folla scomposta, Gesù ha percepito il toccare fiducioso della donna malata. Si è commosso per la fede dei pagani. Ha accolto la preghiera di un lebbroso guarendolo con una carezza. Ad ogni peccato riconosciuto e perdonato, siamo la centesima pecora confusa, cercata e risollevata da Cristo Buon Pastore.

Anime perse, destinatarie predilette della Pasqua cristiana. Serbiamo il respiro durante l’intera Quaresima per poter cantare al mondo l’annuncio salvifico Alleluia! Rex caelestis, rex gloriae, Morte surrexit hodie, alleluia!

L’incontro con il santo bevitore1 è stato quasi presagio. Più o meno da quel giorno, i dati giornalieri di contagi, decessi e guariti segnano il passo della pandemia: curve inclinate, crescite e salite. La preghiera è stabilmente prossima ad anime in corpi malati impediti a protendere la mano nell’ultimo segno di croce, per supplicare perdono e benedizione su vite complesse e meravigliose. Seppur fisicamente limitata dalle restrizioni, il fine della missione cristiana rimane la salute delle anime. Così, abbiamo vissuto in modo nuovo la liturgia convenutale quotidiana, altare per tutti. Si è affollata di volti familiari e sconosciuti. Le nostre labbra celebrano, cantano inni e salmi, sgranano rosari a nome di chi non ha voce e forza per pregare né fiato per respirare.

Seppur naufrago nell’ennesimo bicchiere di vino, delirante di disperazione, quell’uomo ha pregato. Chi prega si salva, recita un antico adagio. A suo modo, ha chiesto benedizione, vita, risurrezione non meno di un bambino caduto – nell’incertezza dei primi passi – che tende la mano al papà perché lo rialzi, nuovamente. Dio opera nell’esistenza di anime che si credono perse. L’onnipotenza divina è a servizio dell’eterna misericordia, salva anche nell’istante supremo.

Il tempo di Pasqua è imparare, ricordare, gustare il cuore della fede cristiana. Dio non ci abbandona alla morte. L’amore divino non si arresta innanzi all’umano indugiare nel peccato per affezione o abitudine. Cristo risorto è pronto ad afferrarci, come padre premuroso innanzi alla scivolata del suo piccolo, fratello maggiore in soccorso al fratellino. Non attende strette di mano formali. Gesù afferra forte, per primo. Continua a tenerci, a costo di trascinarci affettuoso.

Il semaforo divenne verde, ripresi il cammino e il monologo etilico ricominciò. Il Signore benedica noi, anime perse. Trattenni la sua preghiera, divenne mia. Mancava solo qualcosa: Amen, alleluia!


1 Riferimento al personaggio del celebre piccolo racconto di Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore, 1939.

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Sono fra Claudio Benvenuti, veneto per nascita ma di famiglia toscana e campana, sono venuto al mondo nella piccola Mestre nel febbraio del 1994. Diplomato all'Istituto d'Arte di Venezia, dopo qualche anno nel Seminario Patriarcale, ho incontrato il carisma domenicano e me ne sono innamorato. Professo semplice dal febbraio 2019, proseguo entusiasta lo studio della Teologia.