Cosa che certo può colpire è questa, che il principale momento del cristianesimo sia la Pasqua, ma che il segno sia “della croce” e che il principale riferimento ad esso sia il crocifisso.
Pasqua di Risurrezione. D’altronde san Paolo è chiaro e ne ribadisce con fermezza la centralità:
«Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19).
Perché allora non il segno del Risorto? L’Agnello aureolato, ritto con la vittoriosa banderuola?
No, ricominciamo. Qualcosa dev’essere andato storto. D’altronde il messaggio cristiano è un messaggio di gioia, di pace, di amore. E poi, oggi non ci desta più ricordo, né scandalo, il Cristo che pende dalla Croce. Sicuramente. Tutt’al più può essersi trattato di un incidente di percorso. Come tutti gli eventi passati ha una valenza di transizione, di mezzo. A che pro parlarne? Annunciamo la Risurrezione!
«Noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23), «non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,1b-2).
Un attimo. Tutto si fa confuso. Com’è possibile? Perché san Paolo ora annuncia Cristo crocifisso? E la Risurrezione? Non era vuota la predicazione senza di essa?
Triduo
Ebbene, che un uomo muoia non sorprende più di tanto, e forse nemmeno che Dio risorga. Ma che Dio muoia, beh, questa è tutta un’altra storia!
Non a caso, parliamo di Triduo Pasquale. E della sua unità.
Dio può risorgere solo se muore, per questo la sua passione, morte e risurrezione devono essere prese nella loro unità. La crocifissione allora cambia volto. Attenzione, resta crocifissione, ma cambia volto, viene trasfigurata: non è un uomo che muore, non è Dio che risorge, è Dio fatto uomo che muore per risorgere, muore e risorge. Nella Croce c’è allora tutto il messaggio salvifico, in cui morte e risurrezione si implicano a vicenda. Non solo: è il supremo atto d’amore di Dio per l’uomo. Dio che si fa solidale con il male che l’uomo, tanto cocciuto e caparbio quanto bisognoso d’aiuto, si è, ribellandosi, attirato da sé. Egli si china su di lui e ne medica le ferite, annega, per portare a riva il naufrago. Ora è Dio che porta sulle spalle tutto il peso del male, del peccato, di tutto l’uomo, nella sua totalità d’intensità ed estensione. Ne porta di più. Di più, tanto quanto distano finito ed infinito. Ecco perché, forse, a san Tommaso non interessarono ingressi a porte chiuse o vesti bianchissime; per riconoscere chi gli disse d’amare come Lui ha amato, esigeva a dimostrazione che gli fossero mostrate le piaghe, e come prova di potervi finalmente affondare le dita (cfr. Gv 20,25).
Lo scandalo del male
Chi se lo sarebbe aspettato, un Dio che muore per l’uomo? È un unicum. Chi mai avrebbe potuto immaginarlo? Con la morte in croce muore l’idea, idolatrica, di un Dio lontano e risorge con la massima evidenza il Dio vero, quello vicino: il Dio-con-noi.
È sulla croce che tutto è compiuto (cfr. Gv 19,30), annullato «il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce» (Col 2,14): «dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2,24; Is 53,5).
Trovò così attuazione il meraviglioso piano, quando «fiorì […] Maria, nuova vite rispetto all’antica Eva, ed in lei prese dimora la nuova vita, Cristo. Avvenne allora che la morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò la vita e con essa la moltitudine degli uomini»1.
La morte, crocifiggendo la Vita, crocifigge sé stessa. La risurrezione rende manifesta quest’inversione: il male crocifisso. Non a caso, è un serpente quello che Mosè mette sull’asta per salvare il popolo dal morso dei serpenti. E tuttavia, chi guardava il serpente di bronzo non era preservato dai morsi, né i serpenti erano da esso scacciati, ma «quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (Num 21,9).
Oggi in particolare il problema del male è avvertito come estremamente urgente, se non altro come ciò che forse più allontana da Dio chi non ha avuto la grazia di conoscerLo.
Certo, si può mostrare con valide argomentazioni che il male è privazione, che non è da Dio ma dall’uomo, e che Egli trae in ogni caso da esso un bene maggiore, ma spesso si rischia di fare un po’ troppo… la figura degli amici di Giobbe.
Questo o quel male particolare restano un mistero, «eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4).
«Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,6-7).
Anche se i serpenti continuano a mordere, questa è l’unica risposta che si può dare.
Perché è la grande risposta che Dio ci ha dato. Facendosi carico di tutto, trasfigurando la sofferenza in amore.
Con essa, il male è crocifisso.
«Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,14-15).
Per rimanere in tema pasquale, ecco il link al precedente articolo-recensione dell’Osservatore per questa Settimana Santa, in occasione del Venerdì di Passione: recensione a “La Croce di Gesù” di Louis Chardon.
1 Sant’Efrem, Discorsi sul Signore, 3-4. 9.