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Sono trascorsi cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci e così, non potendoci sottrarre alla tendenza umana a ricordare gli anniversari, in particolare quelli colle cifre tonde e con almeno tre numeri, proviamo a dir qualche parola, per capire se ci sia un rapporto tra il “Genio universale” e la Chiesa universale.

In questo senso, ci fu senz’altro un rapporto professionale, poiché Leonardo dipinse il celeberrimo Cenacolo nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano, ma questo legame, al di là del pregio dell’opera, non dice nulla sul nostro problema (se non che i domenicani dell’epoca, come quelli di ogni tempo, spiccavano per il buon gusto).
Tuttavia, notiamo che, sebbene Leonardo non avesse mostrato alcuna devozione religiosa finché non si fu adagiato sul letto di morte, lasciò però trasparire quelle che sono le immense potenzialità tecniche dell’uomo, donategli da Dio affinché collaborasse alla sua opera creatrice.

La vera Sapienza

Ora, i filosofi c’insegnano che le arti sono perfezionate da una virtù intellettuale (la tèchne, secondo la terminologia di Aristotele), che conferisce la capacità di compiere bene un’opera – d’eseguirla, appunto, a regola d’arte – anche nel caso estremo in cui quest’arte fosse usata, per assurdo, per fare il male1. Inoltre, poiché l’anima sviluppa l’organismo vivente se non vi si frappongon degli ostacoli, così da realizzare pienamente le proprie capacità, e poiché le mani sono lo strumento degli strumenti2 – dal momento che consentono all’uomo di realizzare infiniti strumenti –, ne segue che delle mani così abili come quelle del da Vinci erano l’espressione di una mente sopraffina.

Leonardo, spesso, è assunto come simbolo di un Rinascimento pagano, come genio laico, i cui temi religiosi sarebbero solo accidentali alla sua opera. Egli sarebbe l’espressione d’una genialità laica, un autentico uomo moderno, dedito allo studio senza i gravami ed i limiti impostigli dall’autorità ecclesiastica; proprio l’irreligione l’avrebbe reso più libero d’esprimere il suo genio.
In realtà, quest’opposizione non sussiste, non solo perché tutto ha origine da Dio, ma anche perché l’intelletto umano stesso è un riflesso dell’intelletto divino3. Se tutte le cose recano l’impronta della Trinità, la mente umana è fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Ciò significa che l’uomo è capace di conoscere Dio e che la sapienza umana trova il suo compimento nella Sapienza divina: non si tratta perciò di due sapienze diverse. L’uomo, che ha un’esistenza, per un verso, simile a quella degli animali, per un altro, superiore alla loro, manifesta la sua somiglianza con Dio plasmando il mondo: l’uomo, come ci ricorda Tolkien, è un sub-creatore4.

Qualche demiurgo, un solo Creatore

La produzione artistica e tecnica, nella quale Leonardo eccelse, forse più di chiunque altro al mondo, ci rende partecipi della potenza creatrice di Dio, ce ne fa scorgere la presenza e trova la sua perfezione nella visione beatifica dei santi, in Paradiso. Mediante l’arte e la tecnica, l’uomo collabora ad orientare a Dio il creato, ferito dal peccato di Adamo. Così, le proporzioni ideali dell’uomo, raffigurate nell’Uomo vitruviano, si comprendono meglio se lette a partire dal Verbo incarnato. Il desiderio di Leonardo d’indagare il mondo e di riprodurlo plasticamente era un barlume della sapienza dei santi, di quella sapienza che dice di sé stessa:

Io sono la madre del bell’amore e del timore,
della conoscenza e della santa speranza;
eterna, sono donata a tutti i miei figli,
a coloro che sono scelti da lui.
Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate,
e saziatevi dei miei frutti,
perché il ricordo di me è più dolce del miele,
il possedermi vale più del favo di miele.
Quanti si nutrono di me avranno ancora fame
e quanti bevono di me avranno ancora sete.
Chi mi obbedisce non si vergognerà,
chi compie le mie opere non peccherà.
(Sir 24,18-22)


1 Cfr. San Tommaso d’Aquino op, La somma teologica, I-II, q. 57, art. 3, resp., a cura dei Frati Domenicani, ESD, Bologna 2014, p. 534: «L’arte non è altro che la retta norma per compiere determinate opere. E il bene in questi casi non consiste nel fatto che il volere umano si comporta in una data maniera, ma nel fatto che è buona la cosa stessa prodotta».

2 Cfr. San Tommaso d’Aquino op, La somma teologica, I, q. 76, art. , ad quartum, a cura dei Frati Domenicani, ESD, Bologna 2014, p. 840: «L’uomo possiede per natura la ragione e le mani, che sono “lo strumento degli strumenti”, potendo con esse l’uomo prepararsi strumenti di una varietà infinita e in ordine a infiniti effetti».

3 Cfr. San Tommaso d’Aquino op, De Veritate, q. 11, art. 1, resp., a cura di F. Fiorentino, Bompiani, Milano 2008, p. 879: «Ora, un simile lume della ragione […] è stato posto dentro di noi da Dio, il quale [lume] risulta [essere] in noi come una certa somiglianza della verità increata».

4 Cfr. J. R. R. Tolkien, La Fiaba in Id., Albero e Foglia, trad. it. F. Saba Sardi e F. Dubosc, Bompiani, Milano 2012, p. 66: L’«Arte» è «il legame operativo tra Immaginazione e risultato finale, vale a dire Subcreazione». Del resto, l’idea di subcreazione si fonda su questa visione teologica di Tolkien: «La Fantasia rimane un diritto umano: creiamo alla nostra misura e nel nostro modo derivativo perché siamo stati creati; e non soltanto creati, ma fatti a immagine e somiglianza di un Creatore» (Ivi, p. 76).

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Fra Paolo Peruzzi, nato a Verona nel 1990, diplomatosi al liceo classico, nel settembre 2016 ha emesso la professione semplice nell'Ordine dei frati predicatori. Attualmente studia Teologia, dopo aver ottenuto il baccellierato in Filosofia presso lo Studio filosofico domenicano di Bologna. Per contattare l'autore: fr.paolo@osservatoredomenicano.it