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C’è un aspetto sempre meno sopportabile della retorica del “resta a casa”, soprattutto quando non è più un consiglio utile e norma di prudenza, che sappiamo essere la guida e il cardine di tutte le virtù, ma diventa qualcos’altro: la pretesa di giudicare il prossimo senza avere, peraltro, nemmeno i minimi elementi di giudizio, cosa che ovviamente è assai imprudente. Mentre ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte, a tutela propria e degli altri, che non solo risponde alla prudenza, ma prima di tutto, alla carità, è necessario farsi guidare da entrambe queste virtù, evitando che la mancanza di una sia causa di imprudenza (e di conseguenze gravissime) e la mancanza dell’altra rischi di compromettere la nostra tenuta di comunità.

È per questo che i “giustizieri” da balcone o da finestra, che insultano i passanti che potrebbero avere un motivo più che valido per uscire, rivelano un aspetto oscuro della nostra umanità, a volte di un conformismo cieco e protervo, soprattutto quando permette di avere un minimo di potere sulla vita degli altri: quello di poter puntare il dito, accusare, umiliare e per di più senza vergognarsi, ma sentendosi quasi dei vendicatori della legalità ferita: è davvero una pericolosa combinazione quella che permette di assecondare istinti poco commendevoli e la presunzione di compiere un atto virtuoso.

C’è chi non può restare a casa, perché è solo e deve provvedere a sé stesso, c’è chi non può restare a casa perché deve provvedere a qualcun altro, c’è chi deve andare a lavorare, magari per salvare vite e curare gli ammalati, per poi trovarsi nella buca delle lettere un messaggio che dice: “Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in corte. Ricordati che ci sono anziani e bambini, grazie”. È successo davvero, in questi giorni. E c’è chi esce perché ha bisogno di raccogliersi in preghiera davanti al Signore, di vedere almeno quel piccolo lumino rosso, che allontani le ombre che ci circondano.

È vero, sono tempi di ansia, di incertezza per un’emergenza di cui non si scorge nitidamente un termine, che come una lente di ingrandimento amplifica tutto, nel bene e nel male, ma in nome di questo può essere tutto giustificato? Oggi basta così poco per finire nel mirino dei cacciatori di untori e spesso i media, volentieri, si prestano a fungere da colonna infame. Se è vero che dove il sole è più forte le ombre sono più nere, è altrettanto vero che di fronte a tanto corrusco splendore di opere buone – che siano o no ispirate dalla carità di Cristo e di cui non si parlerà mai abbastanza – c’è anche tanto buio.

Sappiamo che un atto morale, per essere buono, deve esserlo in tutti e tre i suoi componenti fondamentali: ossia l’oggetto, il fine, le circostanze. Nel giudizio temerario non c’è nulla di buono, nella delazione, magari commessa per togliersi una piccola soddisfazione, destinata a durare poco, non c’è nulla di buono: un conto è collaborare lealmente con le istituzioni, anche questo fa parte del dovere civico dei cittadini, ma soprattutto quando ci si serve di questo dovere per motivi che hanno poco a che vedere con il senso civico, allora c’è qualcos’altro dietro.

Le tante segnalazioni, che, in alcuni casi, hanno riguardato persone (per esempio lettori, accoliti o cantori per le messe di Pasqua) che erano presenti in maniera legittima e consentita dalle norme, lasciano, purtroppo, il dubbio del dispetto compiuto da volenterosi delatori, soprattutto in un momento in cui bisogna anche giustificarsi per la necessità di andare in chiesa, sperando nella comprensione dell’agente di turno. Poi è vero che si può pregare ovunque, ma quando si ha sete, si va alla fontana dell’acqua, non altrove. Casi evidenti di giudizio temerario e imprudente, come peraltro non sono mancati da parte di coloro che giudicano i loro pastori senza condividerne il peso delle responsabilità, e anche l’obbedienza, in particolare alle disposizioni sulla sicurezza prese dai vescovi e alle parole del Papa che ha chiesto: “la grazia della prudenza”.
Con buona pace di qualcuno, l’obbedienza è una virtù ed è l’unità che ci fa Chiesa.

Ciò che preoccupa è che sembra essere sparita quella solidarietà che ci ha unito anche sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale, oggi spesso sembra proprio mancare uno sguardo di misericordia, ma vera, non ipocrita e affettata: è uno dei temi fondamentali del magistero di papa Francesco che non perde occasione per ricordarlo. A volte sembra che l’Anno Santo della Misericordia sia passato senza lasciare tracce, ma oggi più che mai ne abbiamo bisogno, di essere misericordiosi come Dio è misericordioso e non di giudizi, che avvelenano i pensieri e il cuore: l’immagine del Santo Padre, solo davanti a san Pietro, sotto la pioggia, riflette la solitudine che, in modo diverso, ognuno di noi sta affrontando, senza perdere la giusta prudenza, ma anche senza perdere l’umanità, perché è vero, come insegnavano i maestri del diritto romano che: “dura lex, sed lex” ma è altrettanto vero che «summum jus, summa injuria»1: guai a dimenticare che la legge è per l’uomo e non l’uomo per la legge.


1 Cicerone, De Officiis, I, 10.

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Frate domenicano, appassionato di San Tommaso e San Paolo e di troppe altre cose. Serio ma non troppo. Mi piacciono i libri, i gatti e imparare da quelli che sanno più di me. Per contattare l'autore: fr.giovanni@osservatoredomenicano.it