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Quanto spesso si sente proferire, è sulle labbra proprie, altrui, un roboante: “voglio cambiare il mondo”! Tutti l’abbiamo detto, o lo diciamo, magari anche solo pensandolo, e spesso con tanta più veemenza quanto più l’età era o è giovane; d’altronde, il succedersi di visioni della vita, formulate, all’opportunità, secondo concezioni filosofiche più o meno sofisticate, si leva e risolve originariamente a partire da questa semplice domanda/risposta, se vogliamo ancora indefinita, cui però non si sfugge. “Ah, non si sfugge? Alcuni vi hanno rinunciato!”. Come no, cadendo ugualmente nella trappola del formicaleone! Hanno voluto cambiare: cambiare prospettiva! E comunque mi si dovrebbe dire com’è possibile sopprimere questo desiderio nel quotidiano, per quanto lo si possa restringere al limite angusto del “mio piccolo mondo”. Ed è presto detto il perché. Perché, si voglia o no, si sperimentano fatica, assenza, errore, fratture tra un questo e un quello limitati, e la pienezza di perfezione che sempre si affaccia alle soglie della nostra capacità di immaginare, di pensare astrattamente. Ovvero, di vedere ciò che non si vede: il negativo, l’assenza, la perdita, una perfezione che non c’è, ma ci dovrebbe essere. “Questa situazione è così, ma potrebbe essere migliore”. “Quest’altra è cosà, ma è ingiusta”. E lo vediamo nel nostro incessante borbottìo circa le ingiustizie sociali, vere o presunte, subìte da noi o da altri; circa il nostro batterci il petto intorno a cambiamenti climatici, diritti negati, questioni politiche. O intorno a problemi familiari, affettivi, lavorativi. La perdita di una persona cara. L’imbronciatura per la squadra del cuore che ha perduto la partita decisiva e per di più per un rigore negato all’ultimo minuto, o il fatto che “il weekend è finito e domani è già lunedì”.

Così, sopraffatti pian piano dalla nostra solitaria battaglia contro il mondo, finiamo o per, naturalmente senza ammetterlo, tirare i remi in barca («Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo!»1), oppure per darci alla – come la definiva Dickens – “filantropia telescopica”, quella di chi si batte per la pace nel mondo e però non vuole assolutamente far pace col proprio vicino di casa.

Tutto questo ci mostra una cosa, forse, un poco desolante, ma quanto mai vera: che nel mondo “c’è” il male, il peccato, e che l’anelito a cambiare il mondo con le nostre sole forze sembra infrangersi come un’onda sugli scogli. E con esso, ad un certo punto, c’infrangiamo anche noi, vedendo come quello che abbiamo fatto sia in fondo ben poca cosa. E la nostra “volontà” se ne esce scornata.

Secondo tempo

Ma la partita non è finita: dal cielo Qualcuno ha calato per noi un poker d’assi, anzi, una scala reale e questo giorno è qui per farcelo presente. «Senza di me non potete far nulla»2. Quant’è vero! Per questo san Paolo può dire «ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo»3.
Questo giorno è il Natale.

Insomma, il mondo lo ha già cambiato lui, salvandolo. E, facendolo, ci ha elevati al grado di amici e collaboratori nella salvezza. A noi, resta solamente il dolce compito di abbandonare ogni resistenza ed associarci a questa radiosa opera: «questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!»4, «qualsiasi cosa vi dica, fatela»5. Cioè, «come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri»6, non più tiepidamente, né, solo, “telescopicamente”. È il caso di rifletterci.

È venuto da bambino, per mostrarci come si fa. L’affidarsi al padre, Dio, alla madre, la Chiesa, il donarsi a pastori e magi, tutte le genti. Mostrarci che perciò ora «lui deve crescere; io, invece, diminuire»7. E poiché «ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio»8, perché «nulla è impossibile a Dio»9, ecco che «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato»10, ecco che «anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi»11. E, questo, toccando le realtà più quotidiane, senza il bisogno di grandi gesta: un saluto, una telefonata, una buona parola, uno sguardo più attento. Anche perché «chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti»12, e non si sa mai che ciò che riteniamo talvolta di poco conto non possa invece rivelarsi, per qualcuno, davvero importante. La costanza in questo è vero eroismo, nonostante i vacillamenti e le cadute. Ed è possibile solo se ci lasciamo aiutare da Dio.

Per questo, non andiamo alla S. Messa perché non abbiamo di meglio da fare, per ascoltare qualche bella parola nell’omelia o perché manca ancora un poco di tempo all’ora di pranzo, ma per l’incontro e l’unione reali con Dio stesso nell’Eucaristia, per l’ascolto della Parola. Per questa stessa unione, poi, le nostre piccole azioni non salvano solo da qualche male presente, ma sono portatrici di vita, e felicità, eterna.

E questo, lo vogliamo dire a tutti.

Gaudete

È importante ricordare come non sia esclusa da questo computo nessuna delle questioni che più ci premono, «le scoperte utili alla vita, molto sovente, non sono altro che corollari di lumi più importanti, ed è vero anche qui che chi va in cerca del regno di Dio, trova il resto lungo il cammino»13, e con certezza.

Insomma, Cristo è nato e ha rinnovato il mondo. Ci ha salvati dal male; ha sottratto le nostre azioni al fallimento, le nostre vite ad una angosciante ed incomprensibile insignificanza. Quale gioia più grande di questa?

Pertanto, ora possiamo davvero dar retta a S. Agostino.

«E voi dite: Sono tempi difficili, sono tempi duri, tempi di sventure. Vivete bene e, con la vita buona, cambiate i tempi: cambiate i tempi e non avrete di che lamentarvi»14.

E poiché la nostra vita qui, come sappiamo, avrà un termine, se avremo vissuto in questo modo, l’attenderemo fiduciosi, nel nostro Natale: «Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede»15.


1 Is 22,13; 1Cor 15,32.

2 Gv 15,5.

3 Ef 2,12.

4 Lc 9,35.

5 Gv 2,5.

6 Gv 13,34.

7 Gv 3,30.

8 Lc 18,27.

9 Lc 1,37.

10 Is 40,29.

11 Is 40,30-31.

12 Lc 16,10.

13 G. W. Leibniz, XV. Tentamen anagogicum. Saggio anagogico nella ricerca delle cause, in Il nuovo sistema, in Opere, a cura di M. Mugnai, E. Pasini, UTET, Novara 2013.

14 Agostino d’Ippona, Discorsi, 311,8.

15 Is 62,11.

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Al secolo Marco, nell’Ordine fra’ Marco Maria Meneghin, nato nella ridente cittadina trevigiana di Conegliano nell’Anno Domini 1991. Ho conseguito la laurea magistrale in Informatica nel 2015, in particolare specializzandomi nel ramo del ragionamento automatico. Chiamato dappoi per vocazione, ho emesso nel 2017 la professione semplice, facendo il mio ingresso nell’Ordine dei Predicatori. Ho conseguito il baccellierato in filosofia presso lo Studio Filosofico Domenicano di Bologna e attualmente sono studente di teologia presso la Facoltà Teologica dell'Emilia-Romagna. Per contattare l'autore: fr.marco@osservatoredomenicano.it