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Cari lettori, ben ritrovati per questo sesto articolo sul Vangelo secondo Marco. Per chi di voi fosse interessato ecco il link per recuperare l’articolo precedente.

La vita di Gesù è spesso circondata di stupore, ma suona strano che, talvolta, a stupirsi sia Egli stesso: Cristo si meraviglia dell’incredulità,1 della chiusura dei suoi stessi vicini di casa. L’illusione di poter gestire a proprio gusto la realtà, foss’anche la realtà di un Dio-uomo, è una tentazione allettante e drammatica: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».2 Più la realtà ci è prossima, quotidiana, più si rischia di svilirne la natura, la bellezza. L’ossessione, troppo attuale, per lo spettacolo, la novità, la superficie, è diventata un cancro spirituale, che annebbia la ragione e soprattutto la fede. Ecco perché «lì non poteva compiere nessun prodigio».3

Ma andiamo oltre… Quello che per qualcuno è il falegname scandaloso,4 per qualcun altro è Elia o uno dei profeti,5 e per Erode è addirittura il Battista redivivo. E proprio sul martirio di quest’ultimo vorrei dire due parole. Una decapitazione come regalo di compleanno mi pare un fatto che si situa tra l’orrido e il raccapricciante. Tutto, personaggi, fatti e ambienti, assume tratti grotteschi in questa straziante vicenda. Sant’Ambrogio ha dei toni di giudizio laceranti su questo brano: «È turpe promettere il regno in ricompensa d’una danza; è crudele concedere la morte di un profeta per l’impegno assunto col giuramento»;6 e ancora: «Che cosa di più indegno che ordinare un omicidio per non dispiacere ai commensali?».7 È vero che ci viene anche detto che «Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri»;8 magrissima consolazione in realtà, e certo la sua responsabilità non è tolta. Nel conversare con un confratello, padre Giuseppe Barzaghi, su questo episodio che mi poneva tanti dubbi, ebbi questa risposta che riporto a memoria: «Dunque: la fede è un atto dell’intelletto, il quale tuttavia per sé si arrende soltanto all’evidenza; ed ecco quindi che nella fede è la volontà a spingere l’intelletto all’assenso, colmando questa distanza. Ora, se Dio è ovviamente il motivo e l’oggetto della fede (teologale), dal punto di vista psicologico-soggettivo la prima scintilla di fede è il pius credulitatis affectus, è un affetto. Erode percepiva l’importanza di ciò che ascoltava, perché il piacere supera il comprendere. Dentro le parole del Battista percepiva un’attrattiva divina di cui tuttavia non capiva il perché, ingarbugliandosi su se stesso senza soluzione, restando aggrovigliato, senza scappatoie, perplesso».

Ora, siamo dinanzi al paradosso per cui un uomo può rifiutare quella Verità che conosce, e questo è il dramma del peccato. È il terribile scontro tra intelletto e volontà, per cui, come dice san Paolo, «io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto».9 Il peccato oscura l’intelletto, la ragione: questo fatto accomuna e spiega la resistenza dei conterranei di Gesù, il crimine di Erode, l’indurimento di cuore dei discepoli al vederLo camminare sulle acque,10 la possibilità di un rifiuto di fronte all’evangelizzazione apostolica.11 Ma allora come colmare questa distanza tra noi e Lui? Se ci ripugna pensarci uguali ad Erode o, peggio, Erodiade o quella lasciva della figlia, come fare per tornare a Lui? Sono domande imprecise, poiché il primo passo è sempre Suo: sia l’ingarbugliamento della nostra intelligenza di fronte al Mistero, sia il lasciarsi sconquassare dalle passioni, hanno sempre l’io al centro. Se solo ci lasciassimo prendere, coinvolgere dal Suo sguardo, capiremmo quel che siamo, ci vedremmo «come pecore che non hanno pastore»;12 e il Suo sguardo è, sempre e da sempre, di compassione, perché, come dice lo stesso padre Giuseppe in un suo testo, «il Mistero di Cristo (incarnazione – passione – morte – risurrezione – ascensione – gloria) è la rivelazione […] dell’essere Dio da sempre e per sempre presso il sofferente innocente. Allora capisco che Gesù, che è l’Agnello immolato […] nelle stesse fondamenta del cosmo, […] è il segreto nascosto nel sentimento cosmico di commozione, compassione e consolazione: questo è il tessuto connettivo dell’universo. […] Non comprendiamo il perché, ma sappiamo che è così. Questo è il sentimento fondamentale. Il Paradiso o la Gloria è il meraviglioso senza perché!».13

[1] Cf. Mc 6,6.

[2] Mc 6,4.

[3] Mc 6,5.

[4] Cf. Mc 6,3.

[5] Cf. Mc 6,15.

[6] Ambrogio (s.), I doveri, 3,12,77.

[7] Ambrogio (s.), Le vergini, 3,6,28.

[8] Mc 6,20.

[9] Rm 7,15.

[10] Mc 6,52.

[11] Mc 6,11.

[12] Mc 6,34.

[13] G. Barzaghi, Il riflesso. La filosofia dove non te l’aspetti o il rosario filosofico, ESD, Bologna 2018, 236.

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Chi sono io? Se è vero che gli altri possono talvolta descriverci meglio di come ci definiremmo noi, vi lascio una definizione sintetica di un amico ed ex collega: "tu sei un fruitore di bellezza"... Che significa? Semplice. In tutto quello che ho vissuto finora, dallo studio maldestro della teologia alle immeritate Grazie nel lavoro come professore, dal calore della mia famiglia fino al colore delle tante amicizie, una cosa sola mi è sempre stata chiara: tutta questa Bellezza mi chiama da sempre, e ho scoperto che è solo andando più in fondo - non da solo, ecco perché c'è la Chiesa - che posso trovarla e sempre goderne, per poi annunciarLa agli altri, perché sappiate che «La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini» (G. K. Chesterton). Ecco perché mi son fatto domenicano... Per contattare l'autore: fr.piergiorgio@osservatoredomenicano.it