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Un padre della Chiesa?

Accostarsi ad un Padre della Chiesa – come sant’Atanasio, san Giovanni Crisostomo o sant’Agostino – suscita sempre un certo timore reverenziale, per la profondità di pensiero, per la vastità dell’opera, per lo spessore morale e per la santità di vita. Curioso, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), uno dei maggiori autori del ‘900, fu definito dal suo primo traduttore italiano come un “padre della Chiesa, obbligato dalle necessità dei tempi e del ministerio, a predicare in stile burlesco alle turbe degli scettici e dei gaudenti”.

Un giornalista del ventesimo secolo padre della Chiesa? Non è un po’ esagerato? In effetti non si può dire sia vissuto nei primi secoli dopo Cristo. Ma, ad essere franco, la sua fede schietta è quella: ci sono cinque criteri per definire un Padre della Chiesa e lui, eccetto l’antichità, li ha avuti tutti: ha goduto di una larga approvazione da parte della Chiesa, ha vissuto una profonda armonia tra quanto predicava e quanto viveva. Infine, come dimenticarsi la sua sagace chiarezza di fronte agli errori, che ahimè, non mancano mai. Ma, in effetti, ciò che spicca è il modo in cui li affrontò.

Principe del Paradosso

Come? È tutto contenuto nel suo soprannome: “Il principe del paradosso”. Chi era questo principe? Uno a cui non mancavano di certo le parole: autore prolifico noto per i suoi aforismi, in Italia è conosciuto principalmente per aver ideato la figura del prete-investigatore, Padre Brown, ma nell’arco della sua vita scrisse più di cento libri, che spaziano dalla narrativa alla saggistica, alla poesia ed al teatro, oltre ad aver scritto innumerevoli articoli per quotidiani e riviste. Bene, è uno scrittore compulsivo.

Ma a ognuno il suo: frutti buoni per albero buono. Ora, se questi sono i risultati, qual è la fonte del brillante pensatore ingelse? GKC, come amava firmarsi, fu uno dei successi della rinascita della Chiesa cattolica in Gran Bretagna, iniziata a metà ‘800 dal cardinal Manning e dal beato Newman, anch’egli cardinale. Inoltre, poiché siamo frati domenicani, è doveroso ricordare un’altra figura: Gilbert racconta che, dopo essersi riavvicinato all’anglicanesimo, conobbe alcuni sacerdoti cattolici, tra i quali il domenicano Vincent McNabb, grazie ai quali iniziò un percorso spirituale che condusse lui e sua moglie alla conversione al cattolicesimo.

L’Ordine dei predicatori ha come prima carità, portare la Verità, la caritas veritatis. E questo si vede bene: Chesterton non è solo principe per il numero dei suoi scritti. Avere scritto numerose sciocchezze certo fa di un uomo un principe, ma un principe degli sciocchi. A quel punto meglio essere banalmente villici. Chesterton è principe del paradosso. Ma come! I paradossi confondono la ragione, che servizio mai potranno fare alla verità? Al contrario la difendono. Da chi? Da se stessa: la ragione rischia di stimarsi un po’ troppo. Il paradosso fa capire alla ragione qualcosa, facendole anche capire che non capisce troppo. Le fa assaggiare i suoi limiti.

E qui si vedono le due anime del grande autore, permeato da un senso profondo dell’ironia e del sacro, che vanno quasi sempre insieme. Il sacro: a partire dalla contraddizione di Cristo, che proclama la sua divinità, alla quale seguono la condanna e gli insulti, anche il cristiano è un segno di contraddizione: osserva i comandamenti, ma si considera libero; vive e opera nel mondo, ma non è del mondo. L’ironia: mai prendersi troppo sul serio. Infatti il superbo dà tipicamente un’importanza eccessiva al proprio operato. Il nostro Chesterton, al contrario, con tutti i suoi centocinquanta chili di saggezza, ci invita a quell’umiltà che permette di sorridere di se stessi e di guardarsi con leggerezza, presupposti necessari per non disprezzare gli altri e la verità: chi è preso troppo da sé, difficilmente lascia spazio all’oggettività delle cose.

Un vero antidoto al suo tempo: egli vide la diffusione del materialismo e i danni e l’inconsistenza di filosofie e ideologie come il nichilismo ed il socialismo; il problema era ribadire il vero valore della ragione, dunque ne difese la dignità di fronte ad un mondo che la idolatrava e, per questo, se ne serviva sempre meno. Come scrive in Ortodossia: “Tutto il mondo moderno è in guerra con la ragione, e la torre già vacilla” [Ortodossia, cap 3, ed. Morcelliana, Brescia 2008]. Come si difende la ragione? Ribadendo il primato della realtà che è il fondamento della ragione.

La ragione della gioia

In Chesterton la profonda ragionevolezza si accompagna alla gioia. Per comprendere meglio tale tratto di un gigante della letteratura (in senso letterale: quando morì dovettero calare la bara dalla finestra, poiché non riuscivano a farla passare dalle scale), seguiamo ciò che egli stesso scrive nella sua Autobiografia: la felicità è una caratteristica nativa in lui, tanto che la individuò già nella prima infanzia e la vide accompagnarlo per tutta la vita. Il suo segreto? Chesterton era un uomo di stupore. È la scoperta dei sensi e quel consecutivo entusiasmo infantile per il mondo che fa amare le piccole cose, la quotidianità: una volta disse che “il mondo non morirà mai di fame per la mancanza di meraviglie, quanto per la mancanza di meraviglia” [Tremendous Trifles, cap. 1]. Un esempio di questa amore per il semplice? Il suo primo ricordo d’infanzia è quello di un teatrino di cartone costruito da suo padre, nel quale uno dei personaggi rappresentati è un principe che tiene in mano una chiave d’oro e attraversa un ponte.

Nonostante avesse sofferto una depressione giovanile a causa della guerra e della perdita del fratello, mantenne sempre la fiducia nella bontà della vita. Questa fiducia non è una ‘carta fedeltà’ da supermercato con cui avere buoni sconti dall’esistenza (anche perché a quanto pare non ne fa). “Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino. L’indovinello dice: “Che disse il primo ranocchio?” E la risposta è questa: “Signore, come mi fai saltare bene”. In succinto c’è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare»” [Ortodossia, cap. 4]. Il suo stupore è possibile grazie alla riscoperta di quella sola fiducia che si chiama fede, la quale permette di accogliere tutto con gratitudine, senza dare nulla per scontato.

Ma qual è la fonte della fede? Ecco qualcosa che Chesterton ci insegna a riscoprire: La Chiesa. Ciò che lo stupiva non era che un sacerdote conoscesse il bene, quanto piuttosto che egli avesse una profonda conoscenza del male di cui l’uomo è capace, che potesse realmente assolvere dai peccati e che la chiave di questo potere fosse stata data a degli uomini. Così il ricordo dell’uomo che attraversa un ponte e che regge una chiave d’oro – visto da piccolo in un teatrino – diventa una nuova immagine: quella del pontifex e del claviger, che rappresenta il Dio dalla chiave d’oro, incontrato nel luogo dove tutte le verità si danno appuntamento.

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Fra Paolo Peruzzi, nato a Verona nel 1990, diplomatosi al liceo classico, nel settembre 2016 ha emesso la professione semplice nell'Ordine dei frati predicatori. Attualmente studia Teologia, dopo aver ottenuto il baccellierato in Filosofia presso lo Studio filosofico domenicano di Bologna. Per contattare l'autore: fr.paolo@osservatoredomenicano.it